THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

21 November 2010


Il padre della Pop coi suoi "Gluts" in Villa Panza (Varese),
realizzati a vent'anni di distanza dai mitici anni sessanta di
"New York Arte e Persone"




A Villa Panza (Varese) i "Gluts" di Robert Rauschemberg contrastano non poco con il perfetto equilibrio tra gli eleganti ambienti sette-ottocenteschi della casa e i pezzi d'arte moderna della collezione permanente che il suo raffinato e colto proprietario (il Conte Giuseppe Panza di Biumo, recentemente scomparso dopo aver lasciato al FAI la proprietà della Villa e le sue ingenti collezioni d'arte) vi ha assai sapientemente collocato.


I Gluts (letteralmente: gli eccessi) sono composizioni di tipo estemporaneo realizzate con pezzi di lamiera, insegne o altre parti in ferro derivanti da prodotti rottamati, tratti dalle discariche che il suo autore amava visitare nei pressi del suo studio in Florida. Nulla a che vedere con i dissacranti recuperi dei Ready Made duchampiani, che ne sapevano oggettivare l'assoluto della forma in sè, oltre all'oggetto d'uso, nè tanto meno delle delicate ricomposizioni armaniane fatte di vecchi violini o altri oggetti maniacalmente sezionati con estrema precisione. Ma soprattutto, e specialmente, nulla a che vedere con l'ammasso di lamiere d'auto dismesse che John Chamberlain esibiva nelle prime mostre della Pop già negli anni '60.


Ma nulla a che fare anche con quel Rauschemberg, padre e vate della Pop di "Arte e Persone", che Ugo Mulas immortalava nelle sue splendide fotografie scattate all'interno degli studi degli artisti, mentre gli artisti stessi erano "all'opera", colti nel momento in cui stavano creando lo spirito dell'arte che meglio d'ogni altra avrebbe interpretato l'età mass-mediatica dei consumi di massa, nel cuore del XX secolo, secolo della modernità.


Questo nuovo Rauschemberg, che Giuseppe Panza di Biumo ha voluto presente nella sua importante collezione, e che ora riempie alcune sale della Villa con una mostra itinerante con quasi cinquanta opere, "compone" equilibri spaziali mediante la giustapposizione di ritagli di vecchie lamiere e con pezzi d'insegne ed altri oggetti della rottamazione, ottenendone oggetti a sè stanti. Non cè più nulla di provocatorio in queste composizioni, nè nulla di scontato. Esse sono, e basta.


Esistono in quanto tali, e la loro estetica deve essere ricercata nella pura loro composizione spaziale. Ovvero possono piacere o non piacere, ma nessun filosofare è possibile attorno ad esse, circa la materia primigenia che le ha costituite, e nessuna provocazione vi viene consumata, così come nessuna operazione dissacratoria.


Appare perfino esagerato il titolo "Gluts" in tale contesto privo di spigolature, nè di paradossi, e tanto meno d'ironie di sorta. Tutto al loro interno vi è scontato tanto che ogni tipo di mordente che potesse scorgersi nei loro antefatti, qui vi tace. E direi vi muore, assieme alla monotonia che ci assale nel passaggio tra un'opera e l'altra. E' ancora, e soltanto, dal confronto con la villa, e la storicità dei suoi ambienti, che nascono le ultime residue vibrazioni sensoriali, che queste opere sanno suscitare.


E dalla Villa che esse ancora sanno trarre qualche beneficio, in quanto espressione di antagonismi stilemici e formali ancora discretamente funzionanti al momento della loro fruizione. Ma rimane un fatto mentale e basta, perchè i Rauschemberg sono collocati in parte entro le vecchie scuderie, ed in parte negli ambienti del primo piano della villa, e pertanto esse non colloquiano mai con le altre opere selezionate dal Conte Panza, ma solo con gli ambienti della casa. Il contrasto c'è, ed è salutare, ma non è mai abbastanza potente come potrebbe essere con le opere di Robert Irwin o Maria Nordman o Dan Flavin, scelte tra le più minimaliste dei minimalismi, secondo il gusto del suo proprietario e mecenate, fatto di totale eleganza e discrezione, di contrasti perpetrati all'insegna del garbo e della discrezione.

Questa sopra e quelle che seguono sono immagini che si riferiscono alle istallazioni al neon di Dan Flavin (artista minimalista newyorchese tra gli anni '70 e '80), facenti parte della collezione permanente di Villa Panza di Biumo a Varese


Assai più vitali rendimenti, in termini d'immagine e di peso artistico, hanno questi numerosi pezzi che compongono nella Villa di Varese le collezioni permanenti. Sono esse emerse alla ribalta internazionale probabilmente in funzione della Villa, per quella eccelsa e raffinata destinazione, che ha fatto sì che fossero soprattutto i colori, la loro iridescenza mutevole, prima ancora che la concezione che li ha determinati, a dare loro i natali.


Oggi la loro valenza è intrinseca al contenitore, col quale colloquiano senza integrarsi, e mai e poi mai potrebbero sopravvivere se non lì dove vi sono collocate. A volte esse sono capaci di risvegliare gli stessi oggetti e gli arredi classici della casa, la cui sobrietà, investita da monocromie fatte di accesi accostamenti che alimentano il gusto per le cose raffinate ed eleganti, vive di quelle.


Rauschemberg, l'ultimo Rauschemberg che vediamo in questa mostra, non vale davvero l'assieme, l'accoppiata Villa Panza-Arte minimalista, distaccandosene come se non vi c'entrasse per nulla. Il tramonto, perciò, di un artista che ha fatto la Pop, e che non ha saputo distaccarsene totalmente quando si è reso necessario. Analoga vicenda, del resto, ha vissuto l'arte di un altro padre della Pop, di Roy Lichtenstein, recentemente incontrato alla Triennale di Milano, con una sua grande mostra. E' il destino di tanti grandi dell'arte che hanno vissuto per anni dentro al mito, per poi non saperne più uscire al momento giusto. Nessuno di essi se ne è salvato. Sono stati capaci di dare di sè, alla fine della loro carriera, esattamente, l'idea del declino.

Varese, novembre 2010

Enrico Mercatali


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