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06 January 2012

Realismi socialisti - Pittura sovietica 1920-1970. Si conclude la grande mostra romana - di Enrico Mercatali




R E A L I S M I    S O C I A L I S T I
La pittura del socialismo reale dal 1920 al 1970.







Roma, Palazzo delle Esposizioni
11 ottobre 2011 - 8 gennaio 2012



Si conclude in questi giorni il percorso espositivo dei "Realismi socialisti", al Palazzo delle Esposizioni di Roma, che quest'anno ha proposto il duplice tema dell'arte realista e dell'arte sovietica, così riempiendo un vuoto conoscitivo che da tempo chiede di essere affrontato per entrambe i temi, peraltro ricchi di incognite critiche per l'intero panorama del moderno, proprio quando essi si sovrappongono nell'unico filone storico di quanto avvenuto nel cuore della cultura artistica russa del XX secolo, e più  specificatamente relativo all'arte pittorica.


1920-1928



Boris Kustodiev, "Il bolscevico", 1920 - Olio su tela, 101 x 141 cm (Mosca, Galleria Tret'jacov)


Dobbiamo risalire all fine degli anni '80 del secolo scorso per registrare un evento di analoga portata nel nostro paese, una mostra di pittura russa di analogo calibro,  la cui importanza  possa consentirci ora di stabilire un percorso di continuità, e di segnalare episodi di novità, entro il grande e complesso quadro costituito dalla cultura artistica che quel paese ha saputo esprimere lungo tutto l'arco di tempo del moderno, durato un secolo, tra il 1870 e il 1970. Tale evento è stata la grande mostra organizzata al Lingotto di Torino nel 1989 intitolata "Arte Russa e Sovietica, 1870-1930", promossa dal Ministero della cultura dell'URSS, da Fiat, e dall'Associazione Italia-URSS, il cui ricco catalogo sembra costituire la prima puntata d'una serie che si completa ora con quello della mostra in questione, quella organizzata a Roma, nel Palazzo delle Esposizioni, intitolata "Realismi socialisti- Pittura sovietica 1920-1970".





 Aleksandr Deineka, "La difesa di Pietrogrado" 1928, Olio su tela (210x238 cm) - Mosca, Museo Centrale delle Forze Armate



La mostra che si conclude in questi giorni a Roma, e quella lontana mostra di Torino, assieme, consentono di fare non solo un bilancio sui temi che abbiamo citato in premessa, ma anche sull'intero mondo dell'arte figurativa russa che così fortemente ha saputo esprimere, più di quanto non si sia potuto verificare altrove, le contraddizioni intrinseche ai binomi potere e linguaggio, cultura e potere ed ideologia e immagine, i quali, nell'evoluzione della cultura artistica del Moderno, tanta parte hanno  avuto, facendo argomentare, e talvolta ed anche spesso l'un l'altro dissentire, critici e addetti ai lavori, ottenendo che, a tutt'oggi, ancora molti punti interrogativi affollino l'interpretazione della  amplissima documentazione disponibile, e la messe di punti di vista che da essa già è stata tratta.



1928-1936



Samuil Adlivankin, "Uno dei nostri eroi (lavoratore d'assalto)", 1930, Olio su tela (100x120 cm), Mosca Galleria Statale Tret'jakov



Così si avvia infatti, dando prova di quanto è il parere che noi ci siamo fatti, la nota introduttiva al catalogo della mostra romana, per le firme di Matthev Bown, Zelfira Tregulova, ed Evegenija Petrova, curatori: "A tutt'oggi, e due decenni di distanza dal dissolvimento dell'Unione Sovietica, una concordia critica sul movimento culturale noto come "Realismo socialista" è lungi dall'essere stata raggiunta, e le mostre dedicate all'arte dell'epoca di Stalin continuano a provocare reazioni a dir poco contrastanti. Non vi è dubbio che nel contesto della Russia contemporanea tali controversie riflettano i termini di un dibattito ancora aperto sull'esperienza del comunismo di marca sovietica; ma non si tratta solo di questo." 




Kazimir Malevic, "Sportivi", 1930-31, Olio su tela (142x164 cm)
San Pietroburgo Museo Statale Russo
Sotto: "Teste di contadino", 1928-29
San Pietroburgo Museo Statale Russo



Continua così poi la nota introduttiva dei curatori della mostra: "E' piuttosto il modo stesso di considerare l'arte di quell'epoca esclusivamente come espressione di una realtà storico-culturale pervasiva, meccanica emanazione di un modello di esistenza astratto (e strumento per la sua realizzazione), e negarle a priori la possibilità di vedersi riconosciuta la scala che le compete, ovvero quella di un imponente movimento culturale tout court.






Che la figurazione realista sovietica non sia riducibile alla misura di un'isolata corrente artistica, nell'accezione occidentale del termine, è del resto cosa certa: non interessò infatti un ristretto cenacolo di persone accomunate da un medesimo ideale, attive in uno stesso luogo e in un preciso momento, ma si trattò di un fenomeno che coinvolse per decenni il lavoro di migliaia di artisti, impegnandoli capillarmente nel territorio di un impero immenso ed etnicamente composito."



Aleksandr Deineka, "Pausa pranzo nel Donbass", 1935 - olio su tela (188x283 cm)
Riga Museo Nazionale di Arte della Lettonia


Appare chiaro come anche nei curatori della mostra morda la consapevolezza d'una ambiguità di fondo che permane nell'analisi critica della pittura russa, attinente al lungo periodo caratterizzato dalla presenza incombente del pensiero unico al potere, sia pure nelle sue numerosissime versioni intestine ad un dibattito tra gli artisti che mai si è spento. Questa ambiguità, che già emergeva alle origini prerivoluzionarie, in cui lo stesso Kazimir Malevich tentava ancora nel 1915 di sostenere che gli elementi del Suprematismo costituissero la maggior forma possibile di realismo, ben si rivela nell'organizzazione della mostra per periodi ben precisi (che qui riproponiamo a titolo esclusivamente concettuale), all'interno dei quali solo rarissimamente le tematiche affrontate nei dipinti attengono a questioni di carattere psicologico o familiare, a discapito di quelle ufficialmente approvate dagli organismi del potere politico, di carattere sociale, e ancor più storico-sociale. E ciò che appare assai chiaro nello sviluppo della mostra è anche quanto peso dessero tali tematiche ai caratteri e alle espressioni dello stile, sia pure nelle incredibilmente varie e personalissime sigle pittoriche adottate dalle diverse personalità artistiche dei protagonisti, entro il grande alveo del cosiddetto "realismo".



1936-1941




Grigorij Segal, "Guida, maestro e amico (Stalin presiede il II Congresso dei Contadini nel febbraio del 1935)", 1936-37 - Olio su tela (340x260 cm), San Pietroburgo Museo Statale Russo



Continuano, a tal proposito, i curatori della mostra, lasciando intendere che la questione aperta dal realismo fosse proprio quella che più in fondo abbia sotteso i dibattiti che fin dalle origini coinvolgessero gli artisti, e che, a tutt'oggi, ancora coinvolge proprio la critica, nella fase di storicizzazione ormai avviata: "In Russia le risonanze del Realismo socialista sono penetrate perfino in quelle forme d'arte che, in conclusione della sua parabola, ne minarono la struttura fino a demolirlo e a scalzarlo del tutto.




Vasilij Jakovlev, "I cercatori d'oro scrivono al Padre della Grande Costituzione", 1937 (olio su tela, 249 x500 cm), San Pietroburgo, Museo Statale Russo


I riflessi nella cosiddetta arte sovietica non ufficiale o underground sono certamente numerosi e diffusi, (...), mentre gli artisti russi contemporanei continuano a richiamarsi alla sua ereddità nei modi più svariati (...). Il realismo socialista dunque circola nell'aria che l'arte russa contemporanea ancora oggi respira. Volendo mutuare l'aggettivo usato da Ekaterina Degot nel suo saggio dedicato alle sfide che un curatore di mostre sul Realismo socialista si trova dinnanzi, potremmo ricondurre il fenomeno ai termini di una patologia e arrivare a definirlo "incurabile"."



Arkadij Plastov, "Il bagno dei cavalli", 1938 (Olio su tela 201x300 cm)
San Pietroburgo, Museo Statale Russo


Centrano il segno i curatori, quando, nella loro nota introduttiva, individuano il centro del problema, che vorrebbe totalmente destituire il carattere stesso di tutta l'arte del Realismo socialista di quell'autonomia che viene normalmente riconosciuta a tutta l'arte occidentale da che essa esiste, ma che ancora non se ne assume totalmente il peso cercando di esplorare anche quanto sostiene la tesi opposta, che vede nel Realismo socialista un a forma eccezionalmente autonoma d'espressione, ascrivibile quasi per intero all' essenza stessa dell'ispirazione artistica e della sensibilità naturale nata in terra russa. Il ragionamento è questo: "Pur avendo rappresentato (o forse proprio per il fatto di aver rappresentato) l'unica compiuta alternativa a quanto di formalistico e di solipsistico vi è stato nel movimento moderno e alla tabula rasa da esso predicata, il realismo socialista viene pressochè ignorato dalle storie complessive dell'arte contemporanea esistenti.

1941-1945



Aleksandr Deineka, "L'asso abbattuto", 1943 (olio su tela 283x188 cm)
San Pietroburgo, Museo Statae Russo


E, laddove sia stato preso in considerazione nel quadro della storia dell'arte "accreditata", esso è stato semmai annoverato come l'esperienza che mise fine alle ardite sperimentazioni dell'avanguardia russa negli anni dieci e venti del secolo scorso, ovvero non come fenomeno estetico in quanto tale, ma solo in quanto emanazione di un regime totalitario" (...).



Michail Chmel'ko, "Il trionfo del popolo vittorioso, 1949 (olio su tela 289x559 cm)
Mosca, Galleria Statale Tret'jakov



Studi autorevoli hanno messo in luce come negli anni della guerra fredda la CIA e altri servizi abbiano tatticamente sostenuto e promosso l'astrattismo nei termini di una naturale espressione dei principi occidentali di libertà e di aujtodeterminazione dell'individuo. La lettura invalsa in Occidente, inoltre, decontestualizzava il realismo socialista, isolandolo dai fenomeni paralleli ad esso affini, come i diffusi "ritorni all'ordine" nell'arte eujropea degli anni venti, e l'ispirazione socialista rintracciabile nella pittura americana dei "Dirthy Thirties" e nei progetti della Works Progress Administration, la grande agenzia pubblicitaria del New Deal."




Aleksandr Laktionov, "Lettera dal fronte", 1962, ma che replica fedelmente una composizione del 1947 (olio su tela 225x152 cm)
San Pietroburgo, Museo Statale Russo


Nella mostra figurano grandi sale entro i grandi spazi del Palazzo romano delle Esposizioni, suddivisi  in periodi storici. In queste si snodano percorsi assai classicamente concepiti entro cui trionfano le principali tele del Realismo sovietico. Quadri enormi entro cornici smisurate. Che il realismo imponesse anche regole dimensionali. Oppure che tali smisuratezze fossero anch'esse un tributo dell'artista al grandioso compito che a lui spettava, d'essere tramite tra un credo e un popolo che di esso si abbeverava? Certo è che alla pittura il regime assegnava un ruolo e certo è anche che tanto più ad esso l'artista si adeguava tanto più a quel rango esso poteva pensare d'appartenere. In fondo è il ruolo a cui storicamente in ogni epoca la grande arte del passato seppe adeguarsi. E non per questo quesgli artisti dovettero sentirsi sminuiti o destituiti della propria individualità artistica.


1945-1954



Vasilij Jakovlev, "Disputa sull'arte", 1946 (olio su tela  345x412 cm)
San Pietroburgo, Museo Statale Russo


Ma, anche in ciò la mostra ha saputo ben rappresentare quanto realmente potessero valere, in senso propriamente artistico, le grandi rappresentazioni eroiche del regime ed anche quanto modesti ma importanti anche fossero i più ristretti angoli di espressione personale che l'artista, specie negli ultimi periodi, ha saputo ricavare, anche a racconti più intimi e individuali, a episodi di introspezione psicologica, ancorchè legati ai primi dallo stile  d'una pittura schiettamente realista e talvolta perfino molto ricca di personalissime sigle di espressione, capaci di dire molto chiaramente l'autentico valore del suo autore.



Arkadij Plastov, "Vanno a votare" 1947 (olio su tela 221x295 cm)
Mosca, galleria Statale Tret'jakov


Indipendentemente perciò dalla capacità critica di far decantare oggi la vera natura delle singole sigle artistiche, sapendo dire quanto fossero autenticamente liberi i modi espressivi adottati dalle singole personalità che all'arte sovietica hanno dato corpo e assai spesso anche vera vita, e quanto invece di imposto dal regime, che spesso s'è rivelato capace di imporre il "realismo" come imprescindibile marchio d'esistenza dell'artista nel contesto culturale dominato in modo onnivoro dalla mano longa del potere. Al di là di questo limite che la critica odierna continua ad avvertire sappiamo però anche oggi con certezza dare il giusto peso critico e storico ai grandi interpreti della realtà russa del periodo sovietico, riconoscendo in Aleksandr Deineka, in Arkadij Plastov, in Vasilij Jakovlev, in Gelij Korzev,  di Viktor Popkov, in Dmitrij Zilinskij la forza di autentici maestri d'arte.




Andrej Myl'nikov, "Sui campi di pace" 1950 (olio su tela 200x400 cm)
San Pietroburgo, Museo Statale Russo


Nella loro pittura, nelle diverse forme con le quali essa si manifesta, essi hanno dato vita ad autentici capolavori, capaci di raccontare ed interpretare le storie di uomini e donne, talvolta drammatiche, altre volte festose e vitali, altre volte ancora intimamente passionali, d'una umanità interamente vissuta dentro a quella d'un paese denso di  tradizioni e di slanci al futuro, di forti contraddizioni e di potente sentimentali partecipazione.



1954-1964



Vladimir Gavrilov, "Una giornata fresca" 1958 (olio su tela 99x173 cm)
Mosca, galleria Statale Tret'jakov


Ma è anche vero quanto ancora quanto, in tal senso affermano i curatori della mostra: "Uno dei problemi che il considerare il Realismo socialista semplicemente come un fenomeno di dirigismo culturale ha comportato, è l'aver perso completamente di vista la questione della qualità col risultato di rendere un grave torto agli artisti con lo'ignorarne in toto gli orientamenti creativi individuali. In tal senso ilo paradigma totalitaristico è in fondamentale contraddizione con le impressioni stimolanti che i migliori lavori della pittura del realismo socialista suscitano nel pubblico. Obiettivo primario della mostra è dunque quello di tentare di individuare, e sottoporre al pubblico per il suo giudizio, i picchi di qualità raggiunti dai singoli artisti in questa lunga stagione, dedicando una attenzione speciale alle opere di Aleksandr Deineka, Arkadij Plastov, Gelij Korzev e Viktor Popkov. Ciò nell'intento di confutare una volta per tutte l'idea di un Realismo socialista stilisticamente monolitico. 





Gelij Korzev, "Comunisti" (trittico) 1957-60. Da sinistra: "Atelier operaio", "Rialzando la bandiera", "Internazionale". Sotto: Il pannello centrale "Rialzando la bandiera".
San Pietroburgo Museo Statale Russo.




A considerare l'evoluzione del Realismo socialista anche soltanto nell'arco del suo sviluppo in epoca staliniana (vale a dire dal 1928 al 1953), risultano facilmente distinguibili tutte e tre le fasi artistiche - arcaica, classica e barocca - che i critici come Heinrich Wolfflin hanno individuato e indicato quale sequenza necessariamente ricorrente nella storia dell'arte.



Viktor Popkov, "Costruttori di Bratsk", 1960 (olio su tela 183x302 cm)
Mosca, Galleria Statale Tret'jakov


Negli anni trenta in Unione Sovietica venne elaborato un preciso modello di grande quadro tematico ispirato alla vita contemporanea che si poneva come discendente diretto, forse l'ultimo, delle realizzazioni monumentali che dal Rinascimento al XIX secolo furono create grazie alla committenza di papi, sovrani e grandi mecenati. Il ricorso al termine "continuità", così come in generale il rifarsi a una tradizione universale consacrata da secoli di storia dell'arte, è stato riconosciuto negli anni sovietici come attitudine assolutamente positiva, importante proprio dal punto di vista della sua attualità, secondo una visione della disciplina che presupponeva un elevato grado di formazione, una assoluta padronanza del disegno e della composizione, ampia conoscenza del repertorio iconografico classico e, infine, un orizzonte linguistico necessariamente figurativo (...)


1964-1970




Gelij Kozev, "Addio", dalla serie "Bruciati dal fuoco di guerra", 1967 (olio su tela 200x200 cm)
San Pietroburgo, Museo Statale Russo


Del resto non poche opere dell'epoca staliniana, anche quelle più eccentriche del periodo postbellico, rappresentate nella mostra romana da "Disputa sull'arte" di Vasilij Jakovlev (1946), rivelano il profondo dominio della storia dell'arte degli artisti sovietici. Anche sotto Stalin i richiami alla tradizione si spinsero ben oltre l'idea di classicità sancita dall'estetica marxista-leninista. In modo più o meno spontaneo, molti artisti sovietici attinsero elementi anche dall'iconografia cristiana, interpretandola ed in tal modo caricando i loro lavori di contenuti e significati ulteriori. La lettera dal fronte, di Aleksandr Laktionov (del 1962, ma che replica fedelmente una composizione del 1947) rappresenta ad esempio una variazione sul tema della Buona Novella, simboleggiato dalla luce quasi divina che inonda tutto il quadro."




Viktor Popkov, "Canto del Nord", 1968 (olio su tela 169x283 cm)
Mosca, Galleria Statale Tret'jacov


I realismi socialisti, come giustamente recita il titolo della mostra, sono numerosi, diversi tra loro e talvolta perfino antitetici, specie quando, come nel periodo poststaliniano, affiorano esempi di figuratività intenta a indagare più aspetti dell'uomo che della società. Emergono in quella circostanza tratti di stile (che qualcuno, come accaduto ad Alberto Arbasino (vedi "Surrealismo socialista" in Village "la Repubblica" di venerdì 8 gennaio 2012), potrebbe scambiare per un "pessimo sottoprodotto di Chagall" l'opera "I Geologi" di Nikonov, o comunque  cattive imitazioni quelle di artisti russi che avrebbero fatto di artisti occidentali, capaci di mostrarsi come estranee al filone imposto dalle regole di regime. "La mostra tuttavia", continuano i curatori, "si estende oltre i limiti cronologici dell'epoca staliniana, e porta all'attenzione del grande pubblico internazionale una selezione di opere assai più ampia.



Dmitrij Zilinskij, Ginnasti dell'URSS, 1964-65 (tempera e acrilico su cartone, 268x216 cm)
San Pietroburgo Museo Statale Russo
Sotto due dettagli dello stesso quadro






In risposta al dibattito ideologico del momento, il protorealismo socialista degli anni venti del secolo scorso generò opere diversissime tra di loro, una varietà rappresentata nelle mostra dalla presenza di artisti come Boris Kustodiev, Pavel Filonov, Kazimir Malevic e Aleksandr Samochvalov. Negli anni cinquanta, Gelij Kozev avrebbe elaborato la sua proposta di un'arte materialistica a sfondo civile, ispirata al cinema del neorealismo italiano. E negli anni sessanta artisti come Dimitrij Zilinkij e Viktor Popov avrebbero guardato all'arte del Quattrocento italiano alla ricerca non solo di nuove suggestioni stilistiche, ma anche di un a nuova spiritualità."

Richiamiamo l'attenzione del pubblico sul fatto che, contemporaneamente alla mostra sui "Realismi socialisti", nella grande sede romana del Palazzo delle Esposizioni, si svolgeva un'altra mostra riguardante la produzione artistica in URSS, quella su Aleksandr Rodcenko: "300 opere tra fotografie originali, fotomontaggi e stampe vintage".

Crediamo che fare pittura sia stata, e sia ancora cosa diversa che fare fotografia e arti grafiche, e che tale differenza si accentui ove esiste un regime politico in grado di condizionare la produzione artistica  pura, come è accaduto nella Russia sovietica. In effetti visitando questa seconda mostra si incontra, attraversando l'opera artistica del grande grafico e fotografo russo, un'arte che appare assai più "aperta" della prima, libera nell'uso del linguaggio e dei segni propri d'un utilizzo mediatico di quanto non sia stato nel vedere quadri ad olio, uno accanto all'altro. Ci sembrava quasi, mettendo a confronto schizzi di progetto, grafiche anni trenta ed anni cinquanta, fotografie e soprattutto fotomontaggi (dei quali Rodcenko è stato precursore), d'essere spettatori ancora proprio di quell'arte modernista, arditamente libera e fresca, della quale gli artisti russi prerivoluzionari e immediatamente postrivoluzionari furono grandi creatori e precursori, prima che lo stalinismo li mettesse all'indice, o ne piegasse radicalmente l'indole alle logiche del potere.

Roma, dicembre 2011
Enrico Mercatali

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