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07 February 2012

La storia di Boca, monumentale santuario antonelliano tra colline vinicole DOCG, raccontata da Eliana Frontini, artista e giornalista novarese

 Dopo Casa Bossi, la storia di Boca e del suo Santuario antonelliano


B    O    C    A


Ecco la storia di una imponente costruzione,
icona  dell'ottocentesca  utopia  antonelliana,
tra colline novaresi e grandi laghi piemontesi:



"Tutto cominciò con una cappelletta votiva..."



testo di Eliana Frontini
foto e didascalie di Enrico Mercatali



Chi si trova tra Borgomanero e Romagnano, seguendo le indicazioni stradali per la SP 32 Boca-Grignasco,  potrà facilmente raggiungere il Santuario di Boca, dedicato al Santisimo Crocefisso, situato nei boschi a fianco del torrente Strona, a quota 395 m (407 m riporta una antica scritta sulla base muraria del lato nord). 
Si tratta di una grandiosa costruzione monumentale, incompiuta, un enorme edificio in stile neoclasico che appare improvviso dalla strada. Solo le imponenti colonne del pronao sono rivestite in pietra, mentra il resto dell'edificio è ancora in mattone. 


La maestosa mole di Boca, voluta dall'Antonelli di gigantesche proporzioni per ospitare, come racconta Eliana Frontini, le ingenti masse di fedeli che accorrevano sul sito perchè considerato miracoloso, ed anche per assecondare le sue innate propensioni ad eccessi capaci di stupire per dimensioni e per audacia statica, è apprezzabile particolarmente, come qui è del tutto evidente, da Sud, ovvero da dove risultano ben visibili tutti gli ordini sovrapposti di contrafforti e sostegni predisposti dal suo progettista e costruttore. Tali elementi, rimasti privi di rivestimento marmoreo, come previsto nei progetti, appaiono ancor più possenti nella loro versione laterizia, lasciando a nudo tutte le sofisticate tecniche costruttive che vi sono state predisposte al fine di rafforzare e rendere adeguatamente robusto ogni dettaglio. 
Anche nella foto qui sotto, che mostra la vista interna della facciata principale, può essere apprezzato la verticalità impressa all'intero edificio, ottenuta sovrapponendo ordini differenti di colonne gigantesche e smisurate in altezza, lesene maggiori e lesene minori, così da deproporzionare le altezze rispetto alle pur notevoli larghezze, così dando forza ad un effetto prospettico ascendente che non poteva mancare l'obbiettivo di lasciare a bocca aperta il pellegrino visitatore


L'architetto è il mitico Alessandro Antonelli, che incominciò ad occuparsi della costruzione quand'era soltanto uno studente in architettura, ma che, come di consueto, aveva previsto un edificio ancor più grandioso: la chiesa infatti doveva essere alta quanto il Duomo di Milano, e sormontata da una guglia alta 120 m, pari cioè alla nostra cupola (l'autrice fa riferimento alla cupola di San Gaudenzio a Novara, anch'essa opera di Alessandro Antonelli).



Se la genialità fervida e lungimirante, utopica e tendenzialmente delirante di Alessandro Antonelli, grande architetto assurto a fama internazionale, operativo per tutta la vita in ambito piemontese tra il territorio dei grandi laghi e delle colline novaresi, ha impresso sè stessa nelle opere-icona della Mole Antonelliana di Torino e della Cupola della Basilica di San Gaudenzio a Novara, la vera potenza del suo carattere ostinato e un po' megalomane, e la forza di una intensa passione per l'arte che praticava, l'ha dimostrata soprattutto nell'opera sua più solenne e grandiosa, anch'essa ai limiti del credibile se contestualizzata nelle povere provincie del regno e non nella Roma papalina, ovvero nel santuario di Boca. 
Le fotografie che abbiamo scelto per accompagnare la bella ricostruzione storica di Eliana Frontini rappresentano i tratti forse più esasperati della tensione profonda che corre in quest'opera, e che la caratterizza fortemente. Il fianco Sud del tempio e la facciata interna sono infatti assai più che non la facciata, ad esempio, capaci di mostrare il senso di quasi terrifica grandiosità che Antonelli fortemente avveriva, quasi fosse un dovere il suo di stupire le genti con l'architettura, di coinvolgerle emozionalmente, più con l'abnormità dimensionale delle sue partiture e delle sue sequenze prospettiche, che non con la grazia delle sue proporzioni, o l'eleganza dei suoi ritmi. Qualità  più intellettuali, queste ultime, di cui egli era estremamente capace, ed addirittura maestro, come ha ben dimostrato in altre opere meno gigantesche di questa. 
Quasi consapevole della modestia culturale delle povere popolazioni abitanti la bassa novarese, dedite alla raccolta del riso, e di quelle che popolavano le zone collinari della bassa valle del Fenera e di Boca, dedite alle attività agricole ed alla produzione del vino, egli, in un luogo di preghiera e di pellegrinaggio votivo, preferiva destare stupore e l'idea di religioso rispetto, attraverso la potenza derivante dalle dimensioni sublimi, dal gigantismo formale. Ricorre anche qui la sua passione per le altezze vertiginose, quelle che lo portarono a volte, specie nelle sue più belle guglie (quella torinese e quella novarese), a sfidare la statica. Anche qui possiamo avvertire la tensione che spinge in alto, sempre più in alto, gli ordini della sua ancora classica architettura. Aleggia già in essa, infatti, nonostante l'uso di un vocabolario ancora totalmente classicista, uno spirito nuovo, quello che taluni suoi contemporanei d'oltralpe già esprimevano coi nuovi materiali, lo spirito della sfida verticale alle grandi altezze, ma anche alle trasparenze, alle leggere voluttà d'atmosferiche ebbrezze, che vedeva già orgogliosamente l'umanità pronta a giocare nuovi ruoli e nuove partite.


Ma vediamo ora la storia, religiosa ed architettonica, del nostro Santuario, il più "giovane" dei quattro santuari della vecchia provincia di Novara, con Cannobio, Re e Varallo. Come accade per tutti i suantuari, all'origine della fondazione possiamo identificare fatti tragici e miracolosi. Intorno al 1600 venne qui costruita una cappelletta votiva a ricordo della aggressione mortale a due coniugi, con un affresco che raffigura le loro anime che levano lo sguardo supplichevole a gesù morente in croce. 



La pietà popolare definì la cappella con il nome di "Cappella delle anime purganti". Subito la sacra immagine cominciò a dispensare grazie: la prima ad un ragazzo che venne guarito dall'epilessia, e, del secondo miracolo, si conosce anche il nome: trattasi infatti di Giovan Battista Curioni, mercante di stoffe, che nei pressi della cappelletta venne assalito da una banda di briganti. I banditi però lasciarono subito libero l'uomo, perchè spaventati dalle voci di un'inesistente folla misteriosa e dallo scampanio a martello di altrettanto inesistenti campane. 



Questi due fatti non furono che l'inizio di migliaia e migliaia di grazie chieste e ricevute, testimoniate dall'incredibile numero di ex voto, di cui soltanto un esiguo numero è visibile oggi all'interno del tempio. Il Curioni, per gratitudine, decise quindi di dar luogo alla costruzione del primo santuario: la prima pietra venne posata il 16 agosto 1768. I lavori durarono 5 anni e nel maggio del 1773 la chiesa venne inaugurata. Presto cominciò un pellegrinaggio intensissimo che andava ad aumentare sempre più negli anni, tanto che nel 1819, durante la sua visita pastorale, il cardinale Giuseppe Morozzo suggerì di ampliare l'edificio per dare degna accoglienza ai pellegrini I fedeli accolsero con entusiasmo l'invito del cardinale e, per dare più spazio al santuario, arrivarono a deviare il corso dello Strona. 


 Inizialmente la progettazione venne affidata all'ingegnere novarese Giovanni Agnelli, ma proprio in questo momento compare sulla scena un giovane studente di architettura, Alessandro Antonelli, che propose un grandioso disegno che, tanto per inominciare... proponeva di abbattere buona parte di ciò che era appena stato costruito. Era il 1821. La prima pietra del nuovo santuario fu posta nel 1822, e le cronache dell'epoca sottolineano "senza alcuna solennità": questa frase la dice lunga su come l'Antonelli avesse già diviso la popolazione tra pro e contro il suo progetto, che, vedremo, negli anni dovrà, per forza di cose, essere ridimensionato.


 La costruzione procede a rilento: nei mesi invernali il lavoro deve essere sospeso, nei mesi estivi l'acqua, indispensabile, viene a mancare. Inoltre Antonelli impartisce, con scritti e disegni, ordini perentori dai luoghi ove si trova a lavorare, ordini a volte poco leggibili che non sempre vengono compresi, e ancora la costruzione viene fermata. Finalmente, nel 1848, le colonne arrivano ai capitelli, i mujri perimetrali superano i 22 metri e tra il 1854 e il 1858 sono coperte le navate laterali. Nel 1895 la struttura principale è ultimata. 


 Nel frattempo Antonelli muore a Torino nel 1888: non vedrà compiuto il monumento che progettò poco più che adolescente. Dopo la morte dell'architetto continuò ad occuparsi della costruzione il figlio Costanzo, il quale, senza il carisma del padre, poco riusciva a mediare tra i malumori del popolo e dei religiosi: per tutti infatti la costruzione del santuario stava durando decisamente troppo. 


 Nell'agosto del 1907 avvenne poi un fatto imprevisto che interruppe i lavori di abbellimento e di completamento dell'opera: a causa di un terribile nubifragio un grave crollo lesionò infatti pesantemente la fiancata sinistra del santuario. Anche qui si parlò di miracolo: nonostante fossero al lavoro diverse decine di operai, tutti fecero in tempo ad allontanarsi prima del crollo e non vi fu nemmeno un ferito. Vittorio Emanuele III, che si trovava in quel momento a Gattico ospite dei marchesi Leonardi, fu tra i primi ad accorrere sul luogo del disastro. Il sovranò tornò poi anche il giorno dopo al santuario per visitare lo scurolo, la sagrestia e visionare i disegni dell'Antonelli. I lavori di restauro iniziarono subito dopo; un grandioso banco di beneficienza, con doni particolari di Papa Pio X e del Re, fruttò le prime somme necessarie per la ricostruzione. I lavori continuarono poi per decenni subendo una interruzione dovuta agli eventi bellici. Nel 1942 il santuario fu danneggiato da un bombardamento aereo, questa volta però non in modo particolarmente grave. nella ricostruzione il tempio non sarà più a tre navate, ma ad una sola con cappelle laterali. All'inizio degli anni '70 le principali opere strutturali possono dirsi concluse con il completamento dello scalone frontale.





Alcune curiosità
 
Sul retro del santuario ai piedi di una cappelletta sul muro della quale possiamo vedere un crocefisso abbozzato con un leggero bassorilievo si trova una roccia rossastra, la quale, strofinata con la parte dolente, pare abbia straordinaria proprietà di guarire dal mal di schiena. Verità o diceria, ciò che è sicuro è che da tempo immemore, forse prima della costruzione del santuario, migliaia di pellegrini vengono qui a compiere il rito e giurano che, da allora, il loro mal dim schiena sia di molto migliorato. 



Pare che la vecchia cappella segni un luogo già sacro al tempo dei Celti, e la tradizione risalga alla taumaturgia pagana. Un'altra curiosità riguarda la Casa dei Venti, un piccolo edificio decisamente particolare situato ad un centinaio di metri dal santuario. Si tratta di una sorta di villetta in stile neogotico, costituita solrtanto da quattro piccole stanze ottagonali. La costruzione è coronata da un terrazzo. 

 Ci viveva, ai tempi della fabbrica del santuario, una signora molto riservata, che usciva poco, sempre vestita di nero e con il viso velato, sempre accompagnata da una vecchia cameriera. Si diceva che fosse la vedova inconsolabile di un famoso personaggio. 

La signora riceveva pochi visitatori tutti provenienti da lontano e sconosciuti agli abitanti di Boca. Soltanto l'Antonelli, quando veniva saltuariamente a controllare i lavori al santuario, non mancava di farle visita. 
Sulle prime, naturalmente, il fatto suscitò la curiosità dei paesani, ma poichè non venivano alla luce notizie e pettegolezzi sull'abitante della villetta, tutti se ne disinteressarono. La verità sull'ignota signora esplose dopo la sua morte: costei non sarebbe stata altro che una delle sorelle minori dell'Antonelli, maritata ancor giovane con un ingegnere minerario di Stoccarda. 

Purtroppo l'ingegnere era morto giovane, in quanto affetto da licantropismo emofilo... malattia che, prima di morire, trasmise alla moglie. 
Contestualizzando la vicenda nel suo tempo, potremo capire come la giovane andasse in tutti i modi tenuta nascosta e fu proprio del fratello architetto la proposta di mandarla a vivere a Boca, dove nessuno la conosceva, e dove forse la benefica influenza del suantuario poteva avere la meglio sulla malattia. 






Più sopra a sinistra: la Casa dei venti, particolarissimo esempio di revival neogotico tardo ottocentesco, dotato di locali ottagonali che si sormontano l'un l'altro, collegati da due torricini con scala a chiocciola e piccoli locali di servizio. Chi abitava la strana casa, come racconta Eliana Frontini, era una sorella dell'Antonelli, il quale nella casa soggiornava durante i sopralluoghi in sito nella fabbrica del santuario.
Sopra a destra: la stessa Casa dei venti, vista dal retro, in direzione del tempio di Boca.


Dopo la morte della signora, la villetta passò di mano in mano a diversi proprietari, ora non è abitata, ma al vaglio di un complesso progetto di ristrutturazione.


Sostenibilità ante-litteram: Dettaglio della superficie di una colonna interna appartenente alla facciata interna. Non potendosi permettere Antonelli un rivestimento in vero marmo delle colonne realizzate in laterizio, ricorre ad un rivestimento ad encausto, ovvero stucco e cera, successivamente dipinto dai decoratori con motivi marmorei, atti a richiamare, specie se visti da una certa distanza, l'aspetto di un blocco monolitico di marmo, anche se a distanza ravvicinata il particolare sembra più somigliante ad un dipinto di Jackson Pollock


Dal santuario partono diversi itinerari escursionistici che consentono di esplorare i rilievi prealpini dell'alta provincia di Novara, quali il Monte Lavogone, la Croce del Teso e, in generale, la zona vinicola delle colline di Boca, dove si produce l'omonimo pregiato vino. Nel 1987 il santuario è stato inserito nel Parco Naturale del Monte Fenera.



Eliana Frontini
(ce ne ha gentilmente concessa la pubblicazione)
foto e didascalie di Enrico Mercatali

(pubblicato anche su "Nuovo Sestante" n. 54  febbraio 2012)

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