THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

27 April 2012

De Pas D'Urbino Lomazzi in mostra alla Triennale di Milano




Quando design e gioco sanno unirsi
per suggerire leggerezza al vivere il quotidiano


De Pas D'Urbino Lomazzi
in mostra
alla Triennale di Milano



Bella mostra. Svelta, fresca, gradevole e sincera come tutta l'opera dei tre designers. Lo spazio allestito in Triennale ha il pregio d'essere concentrato in un unico ambiente circoscrito entro piani tra loro ortogonali, e perciò totalmente privo di dispersione visiva, ed onnicomprensivo di tutto quanto in esso vi sia esposto, sia raso terra che tutt'attrno o in alto, sulle teste di chi guarda.  L'intera opera dello Studio, "l'allegro terzetto", come lo ha definito "la Repubblica", coinvolge il pubblico dei visitatori, i quali hanno perciò subito una percezione d'assieme capace di selezionare e mettere a fuoco tutti e solo gli elementi che ritengono di maggiore interesse, lasciando in secondo piano ciò che invece sembra meno attraente. Quensto consente un approccio all'opera dei tre designers autoselettivo e graduale. Ottimo pertanto l'allestimento, che, essendo dello Studio D'Urbino Lomazzi coglie l'essenza comunicativa della mostra, fatta con i principali suoi oggetti "storici", compiendo esattamente la stessa operazione di estrema sintesi che è stata compiuta nell'affrontare ogni singolo prodotto al momento della progettazione, e quindi ogni singolo suo dettaglio. Programmaticamente significativo è tale approccio all'oggetto perchè sa evidenziare quanto di "immediato" in esso c'è nella percezione della funzione e del suo possibile sfaccettarsi in miriadi d'altri usi possibili, congegnati per "giocare" con essi, divertendosi ad essere a nostra volta "creativi" attraverso una loro aperta concezione della casa e dell'abitare. Proprio in quegli anni una nuova ventata di creatività stava traducendo la grande lezione del funzionalismo e della tradizione moderna in una nuova e diversa opportunità che, sia la ricerca di nuovi materiali, sia una più approfondita ed autoironica analisi della funzione, stava preparando prima ancora che la bufera postmodernista ne scardinasse i piani, alterandone proprio quei principi logici di universale percezione della realtà che ne fondavano la stessa qualità. Possiamo perciò dire che il gruppo De Pas D'Urbino Lomazzi sia stato uno dei più significativi esempi, in tal senso, di una progettazione razionale, costruita per l'uomo più che per essere piedistallo di una soggettività totalmente priva di contenuti sociali, quella che stava prendendo piede negli anni immediatamente a venire a partire da quel pensiero debole che tutto consentiva per non consentire mai il raggiungimento di qualche vera concretezza.
Il sottile equilibrio di tale vicenda filosofica è stato ben retto e interpretato dallo Studio DPDL, la cui ricerca ha sicuramente prodotto un punto di raffinata diversità, entro una logica di ludiche, molteplici  oggettività.




Cenni informativi sulla mostra:

La mostra è a cura di Vanni Pasca, su progetto di allestimento dello Studio D’Urbino-Lomazzi, e progetto grafico di Italo Lupi. Il catalogo di Corraini Edizioni. Le mostre del CreativeSet sono un progetto diretto da Silvana Annicchiarico.
Il progetto MINI&amp Triennale CreativeSet presenta un omaggio al gruppo storico De Pas, D’Urbino e Lomazzi attraverso una selezione di pezzi iconici che ne evidenzia l’importante apporto nella storia del design italiano sia dal punto di vista della ricerca e della sperimentazione, che dal punto di vista professionale.
Dichiara Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum: “Fin dalla sua apertura, Triennale Design Museum ha manifestato una duplice natura e vocazione: luogo della tutela e valorizzazione della memoria e della storia del progetto, da una parte, e laboratorio di sperimentazione e ricerca, dall’altra. L’anno scorso, con il focus dedicato a Carlo De Carli nello spazio del CreativeSet abbiamo iniziato un percorso volto a restituire la dovuta attenzione a una importante figura del mondo del progetto italiano. Proseguendo sulla stessa linea, la mostra su De Pas, D’Urbino e Lomazzi propone una lettura critica della loro attività riaffermandone il ruolo cardine nella storia del design italiano”. 




Poltrona gonfiabile Blow del 1967, visibile anche nel coevo disegno pubblicitario sopra al titolo


Jonathan De Pas (1932-1991), Donato D’Urbino (1935) e Paolo Lomazzi (1936) fondano il loro Studio nel 1966, anno della partecipazione al concorso per arredi indetto dalla Selettiva del mobile di Cantù. In questa occasione, raccogliendo idealmente l’eredità culturale del movimento moderno, contestano le idee alla base del concorso stesso e introducono tematiche che diventeranno costanti della loro poetica, come la rivendicazione di un “rapporto attivo” che si deve instaurare tra uomini, oggetti e spazi, la volontà di reinterpretare le tipologie edilizie, l’attenzione ai costi e all’accessibilità.
Negli anni sessanta, De Pas, D’Urbino e Lomazzi si contraddistinguono per un approccio progettuale anticonvenzionale e un design dal sapore ludico e ironico, dal forte valore espressivo, che risente delle coeve tendenze pop.




Sciangai, progetto De Pas D'Urbino Lomazzi e produzione Zanotta del 1973. Appendiabiti realizato in legno chiaro naturale, laccato nero opaco e rosso amaranto, è ispirato al gioco omonimo cinese. In alto e in basso: vista aperta, chiusa e dall'alto. In quest'ultima foto si vede il perno centrale in acciaio multisnodato, che consente una apertura parziale del congegno, resa possibile sino a un fermo determinato dalla speciale sagoma a sezione quadrangolare imperfetta di ciascun elemento. Oggetto geniale per forma e contenuto, dotato d'uno spirito allegro e anticonformista, la cui praticità sta nel meccanismo che la governa in calibrate  geometrie, che rendono merito ad uno studio attento dei dettagli, pur nella ludica semplicità del suo utilizzo. La foto nel mezzo nasce da una ironica rappresentazione dell'oggetto, il quale, proprio perchè divenuto assai famoso, sa suggerire autoironiche "prese in giro", qui ammiccanti ad un fascio di attrezzi da campo per uso agricolo ed orticolo


Fra i loro progetti più famosi la poltrona gonfiabile Blow del 1967, le strutture pneumatiche, abitative ed espositive, degli stessi anni, la poltrona Joe del 1970 (un guantone da baseball in onore del giocatore Joe Di Maggio) e l’appendiabiti Sciangai del 1973, trasposizione ingrandita delle bacchette dell’omonimo gioco.
Nel 1968 partecipano all’Expo mondiale di Osaka, con un progetto di coperture a moduli compositi formati da semisfere gonfiabili, e, nello stesso anno, in occasione della XIV Triennale di Milano, presentano un tunnel, sempre gonfiabile, progettato come raccordo tra il Palazzo dell’Arte e il Padiglione Italiano, collocato nel parco Sempione.




Divano onda, 1985, progetto DE Pas D'Urbino Lomazzi, prodotto da Zanotta, rivestimento in pelle nera e struttura in tubolare cromato. Il disegno del divano riprende evidentemente, sia per i materiali adottati che per l'impianto, la serie di poltrone e divani che Le Corbusier aveva realizzato per Cassina. Il vezzo di questo progetto è quello di fare il verso al Maestro del Razionalismo, introducendovi l'onda post-moderna e dissacrante ma pur rispettosa e perfino deferente al cospetto di tanto elevato archetipo, preso a modello


Lo Studio ha portato avanti negli anni importanti ricerche sulle tecnologie industriali, ha collaborato con diversi imprenditori aperti alla sperimentazione sui materiali e ha elaborato nuove idee legate al comfort e alla multifunzionalità.
Dal 1966 a oggi ha sviluppato oltre 2000 progetti che spaziano dal design industriale all’arredamento, dagli allestimenti all’urbanistica e all’architettura.




Poltrona Joe, 1970, per Poltronova, un grande guantone da baseball in pelle, 
dedicato a Joe Di Maggio, tra le dita del quale poter sprofondare


In contemporanea a questa mostra, negli spazi Triennale, si consiglia di vedere la straordinario allestimento della quarta edizione del Museo del Design, dedicata alla Grafica Italiana. Altrettanto interessante e ben allestita, la consideriamo una tappa d'obbligo per chiunque voglia tastare il polso della cultura italiana in queste giornate di primavera milanese.


Enrico Mercatali
Milano Triennale 26 aprile 2012

23 April 2012

La storia di due eroi della resistenza che hanno unito l'Italia alla Georgia




Una storia di Resistenza 
italiana e internazionale
al nazifascismo

I piccoli episodi
raccolti ancor oggi da testimonianze del passato
fanno grande la storia che tutti dobbiamo ricordare.
Enrico bertani e Pore Musolischvili




Enrico Bertani, eroe della Resistenza, nato a Belgirate nel 1919, medaglia d’oro al VM, caporale maggiore di Artiglieria Alpina distaccata in territorio oltremare,  subito dopo l'armistizio del settembre 1943, si arruolò nelle formazioni partigiane locali. Nominato comandante di plotone prese parte ai fatti d'arme emergendo per alto valore ed elevato senso del dovere. Durante un aspro combattimento, mentre alla testa dei suoi uomini andava all'attacco di una munita posizione nemica, cadde gravemente ferito al petto. Conscio della propria fine rifiutò ogni soccorso e chiedendo che il suo corpo, prossimo a divenire esamine, fosse buttato fuori dal camminamento per non intralciare la avanzata dei compagni. Fu luminoso esempio di coraggio e sprezzo del pericolo.




Taccuini Internazionali rievoca questo piccolo episodio della Grande Storia della Resistenza per affermare la necessaria continuità che occorre dare alla rievocazione in ogni luogo di tutti i numerosi episodi come questo, perchè troppo frequentemente si vede dimenticato come ha avuto origine la nostra Repubblica e come ha avuto avvio la democrazia nel nostro paese. Abbiamo perciò ritenuto giusto dare spazio in queste pagine al ricordo di Enrico Binda, nipote di Enrico Bertani, il quale, nel corso di una mostra commemorativa allestita nel Comune di Belgirate (VB), ha pronunciato questo discorso in memoria dell'episodio che ha visto attore lo zio, successivamente consacrato eroe nazionale della resistenza. 
Segue il ricordo di Pore Musolishvili, dalla documentazione Anpi, l'eroe partigiano venuto dalla Georgia, morto a Belgirate il 3 dicembre del 1944.

Enrico Mercatali

Enrico Bertani

Medaglia d'oro belgiratese, eroe della resistenza, 
caduto in Jugoslavia nel 1945 pochi giorni prima  della fine della guerra


di Enrico Binda




Partigiani dell'Ossola in azione


In occasione dell’inaugurazione della mostra dedicata alle medaglie d’oro al VM Pore Musolisvili e Enrico Bertani, cercherò di raccontarvi la figura dello zio Enrico Bertani sia nel contesto storico che famigliare,  con i ricordi di frasi e racconti sentiti in famiglia e di documenti che conserviamo:

Enrico Bertani nacque a Belgirate il 24 settembre 1919.
I genitori Eugenio e Clementina si trasferirono da Casorezzo, un grosso paese  di contadini in provincia di Milano, in cerca di una vita migliore e trovarono lavoro di custodi e giardiniere presso la villa Ferrari, oggi Villa Carlotta.
Enrico, che in famiglia ed in paese era chiamato col suo secondo nome Ambrogio, cresceva con i suoi fratelli Cesare e le sorelle Luigia ed Angioletta. Frequentò le scuole con ottimi voti ed  apprese con passione l'arte del giardiniere e vivaista.
Curava e accudiva, da solo o con il fratello le serre e i parchi delle ville che ancora oggi sono una componente di prestigio del nostro territorio.
Il 18 marzo del 1939 arrivò la cartolina di precetto e venne arruolato nel Gruppo Artiglieria Alpina Aosta.  Questo reparto faceva parte della Divisione “Taurinense” che venne impiegato sul fronte occidentale. Come è noto, proprio nel maggio del 39 l’Italia firmò il “patto d’acciaio” con la Germania nazista e il 10 giugno 1940 l’Italia dichiarò guerra alla Francia già occupata dai nazisti. La divisione Taurinense risultò dislocata in diversi punti del fronte dell'arco alpino (settore Moncenisio - Bardonecchia) e partecipò alle operazioni contro la Francia dal 10 al 24 giugno 1940 occupando e poi presidiando alcune città, anche Enrico partecipò a tali operazioni militari. Successivamente, dopo un breve campo estivo ad Omegna, Enrico si trovò ad operare sui monti di Susa  dato che nell'ottobre del 1940,  alla Divisione alpina "Taurinense" fu dato l'ordine di presidiare il territorio francese compreso fra il vecchio confine e la linea di armistizio.


Partigiani in azione in Val d'Ossola


A Enrico venne concesso,  verso la fine del 1941 qualche giorno di licenza  che trascorse a casa, con i suoi famigliari. Fu l’unico breve periodo di licenza nei 6 anni di servizio militare. Il suo entusiasmo ed i fatti militari che raccontava, mettevano in risalto una fierezza e una convinta consapevolezza che era necessario e indispensabile servire la Patria senza indugio, senza risparmiarsi. Tant’è  che mio padre ed altri parenti, accompagnandolo al treno che lo riportava a Torino gli raccomandarono di non fare l’eroe, di riportare a casa la pelle. E mi dissero che Lui sorrideva e ci scherzava su, sereno e tranquillo, come sempre.
Il 6 gennaio dalla caserma di Torino scrisse che hanno distribuito indumenti invernali e partiranno forse per il Montenegro. Il 23 gennaio  ‘42 sbarcò a Ragusa (Jugoslavia) con il 1° reggimento Art. Alpina, battaglione“Aosta”. Da questa data all’agosto del 1943 scrisse molto ai famigliari. Sono lettere, biglietti postali, cartoline postali che anch’io ho letto più volte. Con serenità descrisse di spostamenti su montagne impervie, di stanchezza, di fame, di battaglie aspre, ma sempre con leggerezza e fede che tutti i sacrifici risulteranno utili per la Patria. Con tanta nostalgia saluta e rassicura i suoi anziani genitori, ricorda sempre tutti i suoi famigliari specialmente i nipotini che chiama Eugenietto, Franchina e Cesarino.
Aveva 24 anni quando l'armistizio lo sorprese in terra jugoslava, col 1°Regg. Artiglieria Alpina 4° batteria, gruppo Aosta. Nel clima di caos creatosi con il proclama dell’8 settembre, la 1^ Divisione Alpina Taurinense  venne sciolta mentre si trovava dislocata in Montenegro.
Enrico e molti altri commilitoni non vollero consegnare le armi e arrendersi ai tedeschi, bensì decisero di continuare a lottare e saputo che a Gornje Polje  (all’interno di Dubrovnik) si stava formando la 1^ brigata  Aosta detta anche 1^ brigata Taurinense, vi aderì senza indugio e con essa passò immediatamente in montagna a fianco dei partigiani locali per combattere i tedeschi che erano affiancati   dalle legioni fasciste di "camice nere" e dai cetnici slavi.
Il 10 ottobre del 1943 quale capo mitragliere venne inserito nelle file della 1^Brigata partigiana “Aosta” (detta anche Taurinense), comandata dal maggiore Carlo Ravnic, che poi divenne il leggendario comandante della divisione italiana partigiana Garibaldi.



Una fotografia di Enrico Bertani, Jugoslavia, luglio 1942


Un mese dopo, il 10 novembre, nella battaglia di Stretnja in Montenegro la sua unità venne accerchiata da preponderanti forze nemiche. Enrico  ebbe il compito di difendere ad oltranza un caposaldo, onde permettere agli altri reparti di forzare l'accerchiamento. Sebbene ferito, con i suoi uomini seppe resistere in cima al monte senza viveri e senza quasi munizioni  per due giorni combattendo con  accanimento.  I pochi superstiti furono quindi catturati da un gruppo di Mussoliniani e consegnati ai tedeschi, che li chiusero nel lagger di Banijca Beograd. (erano passati solo 2 mesi dall’armistizio!!)
Per questo fatto d’armi col n. d’ordine 367 del Ministero della guerra il 13 ottobre 1944 venne decorato di croce al V.M. con la seguente motivazione:

“Capo arma mitragliere, durante un violentissimo fuoco nemico continuava a manovrare la propria arma con serenità e precisione, contribuendo così efficacemente ad arrestare la marcia del nemico e a proteggere i compagni schierati in posizione avanzata.”

Verso la fine del '44 i partigiani Jugoslavi con l'aiuto della Armata Rossa passarono all'offensiva: Enrico approfittò del disordinato ripiegamento tedesco per fuggire dal campo di prigionia (ove era prigioniero da quasi un anno era) e rifugiarsi temporaneamente  sui monti, presso famiglie di pastori locali.
Si ritrovò presto con un reparto di partigiani italiani, e dal 3 novembre '44 si unì alla brigata d'assalto "Italia", Enrico fu in forza al 1° Battaglione Garibaldi , 2^ compagnia (che proveniva dalla 6^ divisione Jugoslava) e assunse la qualifica di Caposquadra(10/11/44) e, poco dopo, quella di Comandante di Plotone (17/1/45).
Combattè distinguendosi fra tutti per il suo ardore, coraggio, modestia e capacità di comando sino al 12 aprile del 1945 quando, durante una dura ed aspra offensiva Tedesca nei pressi di Sarengrad, a  Babin Dol, quota 98, in seguito a ferite riportate in tutto il corpo da schegge di bomba da mortaio, verso le ore 5.45 la sua giovane vita ebbe termine.
Mi piace pensare che in quegli ultimi attimi di vita, i suoi occhi non videro più sangue, morti, feriti, disperazione, ma che le ultime sue immagini fossero quelle delle cose che più amava: i suoi Cari, il suo lago Maggiore, i suoi fiori.
Aurico Renzo,  comandante di questi reparto così ne descrive la figura: "... Durante la lotta una granata decimò il mio migliore plotone, quello comandato da Enrico. Molti morirono, ed Enrico rimase gravemente ferito.



Partigiani alla guerra jugoslava


 Era l'alba del 12 aprile. Enrico era stato colpito allo stomaco e, più lievemente ad una guancia: ma il suo viso era calmo e sereno, come sempre.
Mi guardava con un tranquillo sorriso, mentre intorno infuriava il fuoco dell'artiglieria e delle mitragliatrici. Speravo che si potesse salvare, ma dalle sue prime parole compresi che era finito. Lo feci trasportare in una piccola buca per farlo medicare: ed egli non voleva che si perdesse tempo per lui, ma che si continuasse a lottare.
Mi disse: " Comandante, non vi preoccupate di me, andate avanti, perché il popolo la libertà l'attende da noi".
Il combattimento mi costrinse ad allontanarmi da lui, quando tornai l'infermiere che lo custodiva mi disse che Enrico era spirato senza un lamento e le sue ultime parole erano state: "Salutate tanto i miei vecchi, dite che non piangano. Andate avanti, il popolo la libertà l'attende da noi"
Piansero tutti quando lo seppero ed andarono all'assalto anche per lui per eseguire il suo ultimo comando.
La liberazione completa della Jugoslavia ebbe il suo epilogo un mese dopo, l’11maggio 1945.

Alla sua memoria il 19/ 12/1945  il governo Jugoslavo ha stabilito l'Alta Decorazione dell'Ordine al Valore, (equivalente alla nostra medaglia d’argento) Onorificenza che il comando dell’esercito di liberazione della Jugoslavia gli ha concesso come Comandante di Reparto d’assalto “…per l’abilità di comando, imprese ardite e per il dimostrato coraggio”.

L’8 ottobre 1945 arrivò alla famiglia la comunicazione  ufficiale della morte di Enrico. Fino a quel giorno la sua mamma Clementina,  quotidianamente andava alla stazione con la speranza che dal treno scendesse il suo figliolo e nei giorni di pioggia con se portava un secondo ombrello, quello per Enrico.
20 mila partigiani Italiani caddero in terra Jugoslava, 3 hanno ricevuto la massima onorificenza , Uno appunto è il nostro Enrico Bertani  al quale, con decreto  del Capo dello Stato in data 1°settembre 1947 veniva concessa la medaglia d’oro al VM con la seguente motivazione:

Caporale maggiore di Artiglieria Alpina distaccata in territorio oltremare, non esitava, subito dopo l'armistizio del settembre 1943,ad arruolarsi nelle formazioni partigiane locali. Non appena le vicende della lotta lo permisero, rientrava ai reparti volontari italiani e nominato comandante di plotone prendeva parte ai fatti d'arme di un intero ciclo operativo sempre emergendo per alto valore ed elevato senso del dovere tanto che, benché ferito, rifiutava di essere ricoverato in luogo di cura. Durante un aspro combattimento mentre alla testa dei suoi uomini andava all'attacco di una munita posizione nemica, cadeva gravemente ferito al petto. Conscio della propria fine rifiutava ogni soccorso e chiedeva insistentemente che il suo corpo, prossimo a divenire esamine, fosse buttato fuori dal camminamento per non intralciare la avanzata dei compagni.
Luminoso esempio di coraggio e sprezzo del pericolo.



Nella fotografia un momento della consegna della medaglia d'oro al valor militare, al padre di Enrico Bertani, 2 giugno 1950.



L’ onorificenza venne consegnata il 2 giugno 1950 presso il presidio militare di Novara al padre Eugenio con  presente anche la sorella di Enrico,  Angioletta.
Certamente molti belgiratesi si ricordano con quanta commozione e orgoglio dapprima il papà Eugenio e poi la sorella Angioletta hanno sempre presenziato ogni ricorrenza sia in paese che in altri luoghi ove veniva celebrato il ricordo dei caduti per la liberazione portando appuntata al petto la Medaglia d’Oro alla memoria.
Poi l’increscioso fatto del furto subito il 25 gennaio 2006 nel quale i ladri hanno tra l’altro, smurato la cassaforte di casa e rubato tutto il contenuto, compreso il nobile riconoscimento.
Ringrazio, a nome di tutti i parenti di Enrico, l’ Amministrazione Comunale per essersi attivata e aver per portato a buon fine l’iniziativa voluta dal pronipote di Enrico Bertani, Cesare : infatti, come già noto dal programma della manifestazione di quest’anno, il giorno 25 aprile verrà  riconsegnata una copia conforme all’originale della medaglia al nipote Eugenio.
E  dal ringraziamento all’attuale Amministrazione Comunale voglio  brevemente ricordare con affetto gli amministratori che negli anni si sono susseguiti  e che hanno voluto celebrare l’ eroico concittadino .

  • la cerimonia della scoprimento della targa alle scuole avvenne il 25 aprile del 1952: sindaco Migliavacca.
  • la concessione di giardinetto per ricordo e possibilità di inumare i resti della M. d’O. Bertani: 12/1/1953
  • lo scoprimento della targa sul piazzale del nuovo lungolago il 4 novembre 1956: sindaco Fucigna
  • il 25 /4/1955 l’ intitolazione  del Gruppo Alpini di Belgirate , presidente Luigi Costantini.

- il fervore col quale il sindaco Prini , per tutti gli anni dei suoi 4 mandati, ha profuso nel ricordo del concittadino Enrico Bertani. Egli ha cercato con tutti i mezzi possibili di intraprendere relazioni con l’ ambasciata e con le autorità preposte per riallacciare rapporti fra il nostro comune e Vukovar , dov’era caduto Enrico. Purtroppo le divisioni culturali politiche e religiose tra etnie (che dopo qualche anno portarono alla cruenta guerra  nei Balcani) non permisero il proseguo dei nobili intenti. Nel 1987 Luigi Prini e la sua Amministrazione, vollero realizzare a Belgirate due grandi eventi: il 20 settembre veniva  innaugurata la Baita della Libertà e assieme alla celebrazione del Georgiano medaglia d’oro Pore,  venne celebrata la nostra medaglia d’oro. Tale grande manifestazione  portò a Belgirate  un gruppo di compagni d’arme di Enrico con il com. Gardini e il comandante della divisione d’assalto Italia  M. d’O. Maras  il  quale tenne una commovente orazione commemorativa a ricordo del “suo comandante di plotone “ Bertani Enrico.

- Ricordo inoltre l’Anpi nazionale che nel maggio del 1946 lo proponeva per la massima onorificenza  e poi ne ha sempre onorata la memoria ,e anche la sez. intercomunale del Vergante che il 22/6/2002  che consegnava alla sorella della M. d’O. Angioletta , la tessera “ad honorem”.



La Casa della Resistenza di Fondotoce (VB), 
il più grande centro d'Europa di documentazione sulla Resistenza


Termino con una osservazione che mi fa ben sperare per il futuro.  Nelle ricorrenze del 25 aprile a Belgirate  sorprende positivamente vedere la nutrita partecipazione popolare, ma ancor più bello è assistere alla presenza e al coinvolgimento dei giovani nel ricordo degli eventi che hanno ridato dignità e libertà al nostro popolo. Io credo che le nuove generazioni hanno le capacità per lottare, per affrontare e risolvere le tante difficoltà in cui oggi ci troviamo, mi auguro che sappiano credere sempre nella partecipazione, nei valori democratici e trovino la forza per ricostruire una politica onesta, non dimenticando mai che, dentro la nostra Costituzione esistono i capisaldi per una società basata sull’eguaglianza e la giustizia, e questa fondamentale Carta, che tutti i Paesi democratici ci invidiano, la si  deve al sacrificio di tanti Italiani soprattutto di tanti giovani come Enrico, come Pore, che, quasi 70 anni fa, credettero senza indugio e fino in fondo all’ideale di un Paese libero, democratico e pacifico.

Enrico Binda
nipote della medaglia d’oro al VM Enrico Bertani



Una immagine del film di Carlo Lizzani "Hotel Meina",  girato nel 2007 e narrante l'episodio dell'omonimo libro di Marco Nozza, che descrive l'episodio di una terribile strage nazista di ebrei, ospiti dell'albergo di Meina nel settembre del 1943, vicinissimo a Belgirate. Il film ha portato l'episodio dell'eccidio, uno dei più spietati che i nazisti abbiamo perpetrato in alta Italia sugli inermi ed ignari ospiti di un famoso albergo sulla riva del Lago Maggiore, recentemente demolito, a conoscenza di un vasto pubblico, così dando una doverosa testimonianza  di quanto e come avveniva nel corso dell'occupazione nazista del nostro territorio negli anni successivi all' 8 settembre.


Pore Musolishvili
l'eroe partigiano venuto in Italia dalla Georgia


L'unica fotografia rimasta della Medaglia d'oro Pore Mosolishvili


Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Il conferimento della Medaglia d’Oro a questo partigiano georgiano è avvenuto nel 1970. Il governo italiano ha voluto così riconoscere in lui un simbolo della solidarietà antifascista internazionale. Sotto quest’aspetto, la vita e la morte di Musolishvili sono davvero esemplari.

Nel 1939, Pore è arruolato nell’Armata Rossa. Quando i tedeschi invadono l’allora Unione Sovietica,
 lui compie il suo dovere con grande coraggio, tanto che si guadagna sul campo la nomina a sottufficiale. Nel 1944 Musolishvili viene catturato dai tedeschi, che lo incorporano in un reparto speciale e lo trasferiscono in Italia con altri prigionieri sovietici e cecoslovacchi. Il reparto ha compiti di presidio territoriale e d’antiguerriglia e, al comando di Pore, un plotone di ex prigionieri viene dislocato nel Novarese, a Stresa.



Una immagine della resistenza partigiana in Jugoslavia



Qui Musolishvili valuta la situazione, si mette in contatto con i partigiani della 118a Brigata Garibaldi e il 7 settembre 1944, con altri 36 ex prigionieri georgiani, passa, armi e bagagli, nelle file della Resistenza italiana. Inquadrati nel 2° Battaglione della 118a, i georgiani si distinguono subito per azioni audacissime. Dal 9 al 14 ottobre partecipano alla difesa della repubblica partigiana dell’Ossola. Il 26 ottobre sono tra i protagonisti dell’attacco che il 2° Battaglione conduce contro un convoglio di fascisti e che si conclude con l’eliminazione di 23 repubblichini.

Nel novembre i nazifascisti decidono di sferrare una violenta controffensiva nella zona del Mottarone-Vergante, nel basso Verbano, settore operativo della Brigata "Servadei". I partigiani si dividono in piccoli gruppi, per resistere meglio all’attacco di forze soverchianti. Nel gruppo di Pore c’è anche il comandante del 2° Battaglione. La notte del 3 dicembre i partigiani trovano riparo in una baita sopra Belgirate; ma la loro presenza viene notata ed una spia li denuncia ai tedeschi che accorrono in forze. È l’alba quando comincia un violentissimo combattimento.
Alla memoria I partigiani, accerchiati, stanno per finire le munizioni. I tedeschi se ne accorgono e intimano la resa, promettendo salva la vita a tutti i partigiani, purché sia loro consegnato il comandante. A questo punto, cogliendo di sorpresa i suoi, Pore esce allo scoperto, si fa incontro ai tedeschi e grida: "Sono io il comandante!". Fa ancora pochi passi, si punta la pistola alla testa ed esplode l’ultimo colpo rimasto nell’arma.

Da anpi.it





motivazioMotivazione della medaglia d’oro:
 
Sottufficiale delle truppe georgiane, disertava dall'esercito tedesco alla testa di una settantina di militari suoi connazionali al completo di armamento e di equipaggiamento ed entrava come partigiano combattente nelle formazioni italiane operanti in Lombardia distinguendosi per virtù militari e fede nella causa della libertà. Sottufficiale delle Truppe georgiane, disertava dall'esercito tedesco alla testa di Una settantina di militari Suoi connazionali al completo di armamento e di equipaggiamento ed entrava sono partigiano combattente Nelle formazioni italiane operanti in Lombardia distinguendosi per Virtù militari e fede NELLA Causa della Libertà. Nel corso di una dura azione difensiva, accerchiato con il suo reparto, allorché il comandante del plotone dopo lungo e sanguinoso combattimento ed esaurite totalmente le munizioni stava per accedere all'ultima intimazione di resa del nemico che prometteva salva la vita a tutti a condizione che il comandante del reparto si consegnasse vivo, egli spontaneamente e con eroico gesto si sostituiva al suo superiore e si presentava all'avversario dichiarando di essere lui il comandante.NEL corso di Una dura Azione difensiva, accerchiato con il Suo reparto, allorché il comandante del plotone DOPO Lungo e sanguinoso combattimento ed esaurite le Totalmente Munizioni Stava per accedere all'ultima intimazione di Resa del nemico Che prometteva salva la vita uno Tutti a condizione Che il comandante del reparto SI consegnasse vivo, Egli spontaneamente e con Gesto eroico SI sostituiva al Suo Superiore e SI presentava all'avversario dichiarando di Lui Essere il comandante. Contemporaneamente, con mossa fulminea, estraeva la pistola e si faceva esplodere alla tempia l'ultimo colpo gridando: Viva la Russia, viva l' Italia libera!Contemporaneamente, con mossa fulminea, estraeva la pistola e faceva esplodere SI alla Tempia l'ultimo Colpo gridando: Viva la Russia, viva l 'Italia libera!.. Fulgida figura di soldato, di combattente, di fratello d'arme, seppe fondere in un unico ideale, al di sopra di ogni origine e di frontiera, l'amore per la sua Patria con la giusta causa degli uomini liberi.Fulgida Figura di soldato, di combattente, di Fratello d'arme, Seppe fondere in Ideale Unico delle Nazioni Unite, al di sopra di ogni origine e di Frontiera, l'amore per la Patria con la SUA Giusta Causa degli Uomini Liberi. Mottarone - Lesa (Novara), 3 dicembre 1944.Mottarone - Lesa (Novara), 3 dicembre 1944.


 Nato nel 1919 a Kvemo Machkaani (Georgia), morto a Belgirate (Verbania) il 3 dicembre 1944.


Belgirate 25 aprile 2012
a cura di Enrico Mercatali

20 April 2012

Dalla Svizzera a Venezia e Trieste, via acqua, transitando da Milano






Lago Maggiore,  Idrovie  e Navigli
permetteranno di raggiungere la Serenissima dalle Alpi svizzere, attraversando Milano, a bordo di soli natanti

di  Enrico Mercatali



Finalmente l'idrovia Locarno-Milano-Venezia è stata approvata dalla Comunità Europea, con tanto di relativi finanziamenti, così da rendere ancor più prossima la sua realizzazione.
Contemporaneamente già si avviano i piani per riaprire gli storici corsi d'acqua e le sue chiuse nel centro di Milano. 
Un sistema integrato di vie d'acqua che cambierà molte cose nel panorama socio-economico, turistico e culturale italiano






"MILANO - Credete sia impossibile partendo da Locarno, nella Svizzera italiana, arrivare in barca a Venezia? A riportare le “autostrade d’acqua” agli antichi fasti sarà la quarta “Discesa in barca per il recupero dell’idrovia Locarno-Milano-Venezia-Trieste”, organizzata dall’Associazione Amici dei Navigli di Milano e dall’Associazione Motonautica Venezia. Un viaggio che, percorrendo il lago Maggiore, il fiume Ticino, il Canale Industriale, i Navigli, il fiume Po e la Laguna Veneta, cercherà di far rivivere l’antichissimo collegamento fluviale del Nord Italia, che si rilancia nel futuro quale "modernissimo" modo per andare dalle Alpi alla laguna veneziana via acqua.
A bordo di sei imbarcazioni a Gpl, l’equipaggio si fermerà nei principali porti fluviali, per incontri culturali ed enogastronomici."






Così la notizia è stata data da "La Stampa" il giorno venerdì 12 agosto del 2011. Quale allora il progetto che vi sta dietro, quali le prospettive vere per un futuro assetto dell'Idrovia del Nord Italia capace di dare vita a nuovo turismo, e forse anche a nuove modalità di collegamenti commerciali per le merci povere e pesanti?








Il parere positivo della Comunità Europea all'opera, acquisito lo scorso mese, è già di per sè un grande passo avanti nella realizzazione di questo sogno.
Ricordo che fin da quando frequentavo i corsi del prof Lucio Stellario d'Angiolini alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, negli anni tra il 1965 e il 1970, l'opera, sia pure con talune piccole varianti oggi presentata, era già nelle intenzioni propositive dettate dalla lungimiranza urbanistica di quella "palestra educativa".

Oggi essa sembra che stia per diventare realtà, finalmente, attraverso l'impegno profuso dai tanti che in quel progetto hanno creduto. Infatti è di poche settimane fa l'annuncio del Vicepresidente della Provincia di Novara, Luca Bona, circa il recepimento della prima fase del progetto da parte delle autorità preposte al suo finanziamento. "Siamo arrivati verso la fase finale, il traguardo è vicino", le sue parole. 

Trattasi di realizzare, in particolare, per quanto attiene la parte delle opere che riguardano la Provincia di Novara, un porto di interscambio nel Comune di Arona, il cui costo si aggira attorno ai 500 mila euro. Il programma prevede che, ottenuto il finanziamento, l'opera abbia inizio immediatamente, così da essere terminata entro due anni, così da essere già impiegata in vista dell'Expò.






Si tratta di realizzare un pontile capace di due distinti attracchi, uno per i mezzi adatti alla velocità sostenuta sulle acque del lago, l'altro per i mezzi adatti al trasporto sulle acque dell'Idrovia vera e propria.
Con quest'opera Arona acquisirebbe uno status particolare derivante dal diventare stazione dell'inevitabile interscambio tra le due diverse modalità di trasporto, uno status che saprebbe fare di essa una più importante località turistica di quanto non sia oggi, potenzialmente capace di attrarre flussi più ampi di turismo internazionale, tendenza che, tra l'altro, è già in atto per le numerose altre iniziative piemontesi che, ai diversi livelli e nelle diverse condizioni, ad oggi si sono sapute realizzare.







La Lega Navale di di Arona, nella sua qualità di Ente dotato di grande esperienza di navigazione lacustre, ha già contribuito alla stesura del progetto. Dice Bona: "Si è creata tra noi (tra noi della lega ed i progettisti dell'Idrovia, n.d.r) una stretta collaborazione e una sinergia positiva". Dice  il vicepresidente della lega Navale aronese:, Giuseppe Liberati: "Quando il progetto era all'esame, abbiamo fermamente sconsigliato l'opera all'ex porto Velati, ovvero verso la passeggata bassa del Lungolago Marconi. Incompatibili il moto ondoso e il vento. Lì i lavori sarebbero costati troppo". Il presidente della Lega Navale Luca Padovani dice: "La soluzione infine adottata è certamente quella ottimale: i turisti in fase di interscambio si trovano a 150 metri dalla Stazione ferroviaria. Così ogni genere di spostamento è reso più agevole".






L’idrovia, un tempo fondamentale motore economico, oggi è interrotta in molti punti da sbarramenti e dislivelli. In questi casi le barche saranno alzate da gru e trasportate da camion. Il 17 e il 18 aprile faranno tappa a Milano, dove settanta fortunati potranno fare un giro turistico sui Navigli. Sempre a Milano, avrà luogo un incontro tra le ballottine” - storiche imbarcazioni veneziane - e le barche moderne utilizzate per la discesa. Milano antico porto “In vista dell’Expo, vorremmo accelerare progetti e opere per poter ridare a Milano il ruolo di principale porto interno del Mediterraneo”.







Questo è il sogno di Empio Malara, presidente dell’Associazione Amici dei Navigli. Poi, passando attraverso i Navigli, il fiume Po e la laguna veneta, le imbarcazioni, dopo aver toccato il porto di Trieste, arriveranno a Venezia il 26 aprile. Il viaggio è un grande progetto alla riscoperta di un modo di muoversi (e di trasportare merci) a basso impatto ambientale. In tutto 820 chilometri tra acqua, cultura e natura. 






Il percorso tra Locarno, Milano e Venezia è un'opera complessa. la regione Lombardia sta ora concentrandosi sul superamento delle dighe del "Panperduto" (http://www.360cities.net/image/dighe-del-panperduto#317.50,10.50,60.0), e il Piemonte sulla chiusa per il superamento della diga di "Porto della Torre"(http://www.progettodighe.it/gallery/thumbnails.php?album=478).







Il percorso da Locarno a Venezia, passante per Milano, è lungo 540 chilometri. L'obbiettivo del progetto, e degli Stati e delle Regioni interessate, è ambizioso: entro il 2015, data dell'Expò di Milano, sarà collegata la Svizzera all'Adriatico passando per il Novarese e per il capoluogo lombardo. Il progetto interessa 2 nazioni, 4 regioni, 12 province e 171 comuni.
Nel frattempo è stato presentato a Milano in due distinte circostanze istituzionali il progetto di riapertura dei Navigli milanesi (del quale si parla in un altro nostro articolodi Taccuini Internazionali (http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/03/la-milano-del-futuro-riavra-i-navigli-e.html), che prevede di integrarsi all'intero sistema di navigazione della Pianuta Padana proprio presso la Darsena di Porta Ticinese. Sarà questa una eccellente occasione per il turismo nazionale ed internazionale di giungere o partire dal capoluogo lombardo per le mete più lontane, della Svizzera a Nord Ovest, e dell'Adriatico ad Est, oppure di visitare il centro di Milano per chi è in transito dai laghi o dal mare. Un suggestivo futuro tutto ciò spalanca alla "resa dei conti" dell'Italia, e della sua fragile economia, nel bilancio della sua indistria più importante, che è divenuta oggi quella turistica.






Aggiorniamo l'articolo con le seguenti notizie:

E' apparso sul quotidiano La Stampa un articolo di Chiara Fabrizi dal titolo, un po' ambizioso, "L'autostrada sull'acqua dal Ticino all'Adriatico - L'idrovia Locarno - Venezia sarà recuperata per i turisti", che qui pubblichiamo:




Rimandiamo anche all'articolo di Taccuini Internazionali: http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/03/la-milano-del-futuro-riavra-i-navigli-e.html, per analogia d'argomento.


Lesa,  24 agosto 2011
Rititolato ed aggiornato il 20 aprile 2012
Enrico Mercatali

01 April 2012

PAC Milano, The Abramovich Method. Marina, Lady Performance, bella, empatica, generosa, accogliente e carismatica opera d'arte - di Enrico Mercatali




- PAC  Milano, The Abramovich Method -
 
con una nota sullo spettacolo teatrale che 
Bob Wilson e Marina Abramovic stanno mettendo in scena
sulla vita dell'artista serba





Le provocazioni empatiche 
 di "Lady Performance"






Bella, empatica, generosa, accogliente, carismatica:
è Marina Abramovic, seducente opera d'arte

 
di Enrico Mercatali



- PAC  Milano, The Abramovich Method -


Abbiamo incontrato questa favolosa artista senza neppure volerlo, quando ieri abbiamo voluto lanciare un'occhiata a quanto stava avvenendo al PAC di Milano, nel primo giorno successivo a quello dell'inaugurazione della grande mostra-spettacolo, da lei voluta e dalla giunta milanese, dopo anni che non veniva in Italia e dopo il grande successo decretatole al MoMa newyorkese con la mostra "The Artist is present", nel 2010.




Non avevamo prenotato la performance con l'artista presente perchè già esauriti i posti da tempo, ma sapevamo che di lì a poco lei si sarebbe presentata per quell'appuntamento che a noi era stato negato. Dopo aver visto, con non poco sussiego e curiosità l'evento che si sviluppava in continuo, per tutto il tempo della mostra negli spazi gardelliani presso la Villa Reale di via Palestro, ai quali lei stessa aveva dato la preferenza per realizzarvi questo lavoro, abbiamo avuto la bella sorpresa di vederci attrarre, con un piccolo nugolo d'altri visitatori ritardatari, nella performance della sua protagonista, la "Lady Performance" in persona, Marina Abramovic, che per una buona ora ha dato impulso ad una azione-inazione permettendo a tutti i presenti, ancorchè non prenotati e quindi non paganti, con il suo proverbiale spirito d'accoglienza, di assistere, partecipare, restare ad osservare.



Marina Abramivic si è imposta al mondo, a partire dalle prime esperienze artistiche con Kounellis e Beuys in Serbia negli anni '60, fino a diventare oggi un personaggio di fama planetaria che ha lasciato una profonda traccia di sè, del suo forte carattere, della sua estrosa personalità, della sua capacità di dare spettacolo con la pura e semplice sua presenza. Non ha mai nascosto il suo interesse per il mondo della moda, attraverso il quale molto può essere espresso dei propri lati più estrosi e fantasiosi. Alla donna più espressiva e geniale di cui il mondo dell'arte oggi possa vantarsi, la rivista ELLE ha dedicato l'anno scorso questa copertina



Così anche la dipinge Ada Masoero, che l'ha intervistata per il Sole 24 Ore (Domenica 18 marzo 2012) dopo averla ragiunta proprio al PAC, e dopo aver registrato la sua proverbiale capacità d'accoglienza, ben intenzionata a dare spiegazioni anche dettagliate e non frettolose circa tutto il suo lavoro, la sua vita, le sue prime esperienze, l'influenza che in esse ha avuto la sua infanzia Belgradese e la sua adolescenza già rivolta alle più spinte sperimentazioni artistiche degli anni '60, ancora in pieno regime comunista, dietro alla cosiddetta "cortina di ferro", che ben "proteggeva" chi vi stava all'interno, dagli "scandali" che avvenivano nell'altra parte occidentale. Ma erano proprio quegli "scandali" che avevano saputo incuriosire la focosa giovane donna-artista, e che l'avevano subito condotta sulla strada della nuova arte d'occidente.





Negli anni '70 e '80  le provocazioni dell'artista, ispirandosi all'arte povera e alla body art, ed avendo contribuito esse stesse ad imporre tali forme di creatività, hanno condotto Marina Abramivic a servirsi del proprio stesso corpo. L'interesse per tutto ciò che di espressivo, di comunicativo il corpo poteva aggiungere alle pratiche artistiche, hanno condotto l'artista belgradese a studiarne i segreti più reconditi assistendo perfino a lunghe ed estenuanti operazioni chirurgiche, sia sul cervello che sul cuore. L'uso della propria pelle, del proprio sangue, ha portato  alcuni a pensare che, in tali pratiche spettacolari shoccanti, potessere risiedere i tentativi da parte dell'artista di scuotere l'opinione publica circa le terribili condizioni in cui versava il proprio paese, isolato dal mondo, nel quale ancora ogni genere di repressione veniva adottata dalle autorità nei confronti dei dissidenti. Ma Marina oggi esclude tale genere d'interpretazione, vantando viceversa l'idea che trattavasi di sperimentazione pura, ove sangue e lamette stavano semplicemente sostituendo colore e pennelli dell'artista tradizionale.


E' importante quest'ultimo dettaglio per capire quanto fosse attratto lo spirito irrequieto di Marina dalle avanguardie artistiche che, già negli anni '60, lei adolescente, esercitavano la propria influenza, dalle centrali mitteleuropee alle periferie dell'impero, in cui nomi, quali quelli di Jannis Kounellis, di Joseph Beuys, di Luigi Ontani, incominciavano a circolare. Fu infatti da quelle esperienze che Marina fece i suoi primi passi nella nuova estetica performantica, con la quale non solo venivano superati tutti i mezzi espressivi della pittura e della scultura tradizionali dalle nuove pratiche espressive nelle quali entravano a far parte gli oggetti più disparati della comune vita di tutti i giorni, ma perfino i corpi stessi degli artisti, che, come attori d'un teatro di ricerca, cercavano con ogni mezzo dissacratorio di oltrepassare ogni banalità, di rompere le frontiere del quotidiano. In Marina ciò avvenne dapprima utilizzando i soli suoni, poi con il suo stesso corpo e quello degli artisti che con lei esibivano senza veli la propria nudità in perfermances sempre al limite del lecito, e quindi successivamente con la pura azione della mente, cercando uno scambio d'energia vitale con il proprio pubblico. Tutti mezzi questi che per lei furono non solo leciti, ma essenziali, in quanto finalizzati a rendere fluide, o addirittura naturali, le relazioni col suo pubblico, nonostante l'iniziale shock che avevano provocato, e a mostrare quanto tutto ciò fosse arte. La nuova arte di Marina Abramovic nasceva quando fortemente vissuta diveniva, nel corso delle sue azioni provocatorie, la biunivoca relazione tra che le produceva e chi le fruiva, quando cioè l'evento aveva saputo determinare una sintesi capace di perpetuarne nella memoria l'avvenuta esperienza.




L'esibizione di sè davanti a un pubblico è sempre capace di lasciare un segno indelebile quando, guidata da provocazioni sottili e intelligenti, sa condurre e poi a porre in essere una relazione, a stabilire una comunicazione attiva e interessata, a determinare un flusso d'energia. In questo senso Marina Abramivich è nata per essere una performer, tanto innata in lei e presente, sempre attiva e operante, la voglia di mettersi in gioco. E questa sua innata passione, nel tempo, si è potuta affinare sino a farla diventare oggi perfetta pardona di sè ed indiscussa imprenditrice e maestra della propria arte mediatica, sempre al limite dell'accettabile, del lecito, del credibile da parte dello spettatore. Con tutti i mezzi a sua disposizione lei oggi è giunta a costruire attorno a sè una vera e propria industria artistico-mediatica, che sa innalzare la sua persona a modello da imitare, a icona, a carismatico guru della comunicazione. A Now York questi presupposti stanno infatti già prendendo già forma un progetto avveniristico, affidato a Rem Koolhas, per la parte architettonica,  di una fondazione che raggrupperà in un unico contenitore sezioni di arti visive, di teatro, di opera, di danza. L'esigenza d'una Arte Totale ogni tanto nella storia fa di nuovo capolino, e la grande Marina Abramivic vuole esserne la nuova ispiratrice.





Non possiamo non riconoscere che è proprio da una visione globale del rapporto tra le arti che nascono le iniziative che hanno portato Marina Abramivic, nel corso della sua avventurosa e creativa vita, ad inventare il prodotto estremo che ha presentato al MoMa di new York due anni fa, dal titolo "The Artist is Present", e che l'ha consacrata quale "Lady Performance" nota in tutto il mondo.  In esso lei ha posto in essere tutte le sue doti fisiche e psichiche, concentrandole nell'unico atto di mostrarsi al pubblico immobile, seduta su una sedia, per otto ore al giorno, per sei giorni alla settimana, per oltre tre mesi. Il pubblico, in quell'occasione, nell'allestimento realizzato nell'atrio di ingresso della più grande istituzione americana dell'arte, era invitato a presenziare in silenzio, ed a sedersi a turno per quindici minuti sulla sedia di fronte a lei, ed a guardarla. Un concentrato di energie reciprocamente rimbalzate tra l'artista e le singole persone, provocava l'inusitato e specialissimo evento, un rito collettivo carico di suspance ed emozione, ove poteva capitare che emergesse una grande risata, oppure un pianto di dense lacrime, oppure una intesa fatta di puro meditativo pensiero.





L'evento ha avuto un grande successo di critica e di pubblico, e la ormai possente macchina mediatica di Marina aveva intanto registrato tutto, facendo diventare lo stesso un'altra cosa ancora, una serie di eventi ad esso connessi, filmati, fotografie, libri, documentari, scritti che circolavano per le mediateche del mondo, le quali facevano diventare a loro volta attori gli stessi fruitori degli stessi immortalati nella macchina produttiva che tutto comprendeva, divulgava rimbalzandosi nell'etere. 






Nel vedere oggi questo risultato in tutte le sue differenti forme e valenze non possiamo che riconoscere la paternità di tali forme d'espressione artistica rituale nel teatro che negli anni '60 proveniva dall'America, quello del Living Theatre, quello che Julian Beck e Judith Malina esercitavano, quasi fosse una praticata filosofia di vita, col contributo del loro folto gruppo di discepoli e poi a loro volta proseliti, non solo e non più e non soltanto nei teatri, tradizionali od istituzionali, ma anche nelle strade, nelle fabbriche, nelle università, condannando la guerra ed ogni tipo di violenza, ed assieme vivendo la condizione della vita come fosse teatro. E come fosse arte, aggiungerebbe ora Marina Abramovic, che certamente ancor più di quanto si faceva allora, ha saputo allargarne l'orizzonte concettuale, facendolo diventare , come fosse una sciamana, anche ritualità, filosofia, e concentrato di vita da sperimentare su di sè e con gli altri, e da divulgare.






Ora, a Milano, la sciamana Marina ha avviato un'altra dura prova di se stessa, e di tutta la sua equipe, proponendo nella sede del PAC una performance formata da diverse istallazioni, nei diversi locali, ove campegiano mobili semplici di legno, da lei stessa disegnati, diversamente proporzionati tra di loro e dalla curiosa foggia, sedie, tavoli, poggianti su cristalli di grande dimensione, o includenti frammenti di cristalli, pietre dure in forma cristallina le quali faciliterebbero, secondo lei, concentrazione di energia prodottasi dalla concentrazione mentale degli attori. Tra questi ultimi vi sono anche le persone del pubblico che accettano di prestarsi per un paio d'ore a fare quanto Marina stessa, o i suoi assistenti, spiegano loro, indossando camici bianchi con la scritta rossa ricamatavi sopra "The Abramivich Method". In pratica essi devono restare seduti o sdraiati, immobili, nelle teche, sulle sedie o sui tavoli in rame o in legno dell'arredo, circondati dal pubblico che, per almeno due ora per volta, assistono all'evento-inevento, circolando liberamente tra gli attori. L'atmosfera che vi si respira è statica ma molto intensa al contempo, e spinge tutti a svolgere una profonda riflessione mentale sull'essere più che sull'agire umano, risaltando in modo assolutamente evidente quanto tutto ciò costituisca una pausa davvero significativa nella vita di tutti i giorni di ciascuno, dificile da dimenticare: l'aver partecipato ad una sorta di rito collettivo moderno nel quale, almeno in quel paio d'ore, ci si riesce ben a identificare, sentendoci ad esso totalmente partecipi, e perfino attivi.


Enrico Mercatali
Milano, 21 marzo 2012

(le ultime quattro fotografie sono state scattate da Enrico Mercatali nel corso dell'evento di Marina Abramovic al PAC di Milano, in data 21 marzo 2012)


Wilson + Abramivic
"Vita e morte di Marina Abramovic"





La Lady sta facendo parlare di sè, durante questa sua performance milanese, tutto il mondo: non v'è quotidiano, settimanale o mensile che non ne abbia tracciato un resoconto, oltre che una sintesi della biografia della protagonista. Lei stessa ha concesso, sempre disponibile come è il suo solito, numerose interviste, ed ha incominciato a mostrare di sè, quasi mettendo a nudo il tratto anche un po' narcisistico che l'ha sempre un po' accompagnata nel corso della sua movimentata vita, la parte più mondana che la vede oggi protagonista di collaborazioni d'alto livello. Già più sopra abbiamo citato la nascita a breve di una fondazione destinata a fare un sol fascio di tutte le arti, all'interno di un edificio i cui spazi saranno frutto di una collaborazione intensa tra lei ed il famoso architetto Rem Koolhaas, l'autore del best seller "The Sparkling Metropolis".



Ora si anche un gran parlare della collaborazione davvero promettente tra lei e Bob Wilson, il più geniale e completo regista teatrale vivente. A lui Marina ha chiesto di mettere in scena niente meno che la sua vita. Sembra che lunghe siano state le trattative prima che il regista si decidesse per il sì. Sì, ma a modo suo. Pare che da questo lavoro in comune, nel quale la stessa artista di Belgrado avrebbe dovuto impegnarsi a recitare anche stravolgendo le sue normali abitudini, stia emergendo un capolavoro nel quale la stessa protagonista, accettando i suggerimenti del Maestro, incomincia a sentirsi a proprio agio.




Non più lunghi silenzi, momenti di concentrazione e introspezione.  Non più lunghi pianti, che parevano sgorgare di continuo durante le prime prove, mentre veniva descritto il rapporto con la propria madre. Ora Bob vorrebbe trarre da Marina tutto lo humor possibile e quella parte di lei che sino ad ora sembrava rimasta sepolta: scene di orrore che dovevano essere vissute in modo divertente. Un'opera teatrale a tutto campo, perciò, " Life and Death of Marina Abramovic" ove l'opera d'arte non si mostra soltanto per quella che è, ma anche per quello che è stata e che sarà, in una dinamica nuova, spettacolare e rutilante.
La prima assoluta si terrà a Madrid dall'11 al 22 aprile. Lo spettacolo sarà poi a Basilea, ad Amsterdam e ad Anversa.

Enrico Mercatali
Lesa, 1 aprile 2012