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20 September 2013

Alessandro Antonelli, genio dell'architettura europea del secolo XIX. Perfetto equilibrio tra utopia e fondatezza. Ispirazioni antonelliane tra Torino, Novara e Lago Maggiore






Genio dell'architettura europea del secolo XIX
Alessandro Antonelli 


  Perfetto equilibrio tra utopia e fondatezza




Ispirazioni antonelliane
tra Torino, Novara e Lago Maggiore



Nelle tre fotografie dei titoli, in ordine discendente, vi sono: la Mole Antonelliana di Torino, realizzata da Antonelli tra il 1863 e il 1888 (poi completata nel 1904), un famoso ritratto fotografico autografo del Maestrouno scorcio della doppia trabeazione corinzia dei portici del Duomo novarese, opera progettata dal Maestro nel 1854. Qui sopra due fotografie della cupola di San Gaudenzio in Novara, alta m. 121, realizzata tra il 1841 e il 1878. A sinistra la cupola, ripresa dalla base della basilica, appare maestosa ma meglio proporzionata che nella visione a distanza. Quest'ultima, come ben appare nella foto a destra, mette in risalto la notevole  sproporzione tra il corpo di fabbrica complessivo della chiesa e quello della sola cupola, emergendo di questa, in tutta la sua grandiosità, l'autentico spirito antonelliano, qui ancor più evidente che nella mole torinese, fatto di tensioni utopiche che la vorrebbero insaziabilmente più alta, ed al contempo di tutto quel magistrale realismo che occorre per affrontarne praticamente la realizzazione. Egli, in tutta la sua vita, non tradì mai queste opposte tensioni, dimostrando ogni volta quanto le sue reali capacità costruttive sorreggessero nel migliore dei modi l'anelito di primeggiare in altezza.



"Tra utopia e fondatezza" (come avemmo modo di definirne il suo campo d'azione) sta tutta l'opera di Alessandro Antonelli, uno dei maggiori architetti dell'800 europeo, insigne progettista di sogni e sopraffino costruttore di concretezze. Essa si concentra tutta nella ristrettissima area compresa tra Torino, Novara e il lago Maggiore. Decine di edifici di grandi e meno grandi dimensioni, di grande e meno grande importanza. E' perciò relativamente facile approcciarne un quadro "dal vivo" mentre si è da queste parti del mondo, magari durante una vacanza in cerca di bellezze prealpine sulle rive del lago, in cerca di storie non soltanto borromaiche.  

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Continua (vedi l'articolo completo nell'archivio)




Sopra e sotto: in queste fotografie si coglie la grandiosità dello spazio interno alla base della Mole, nel quale si sviluppa la parte preponderante del nuovo Museo del Cinema. Dalla antica funzione di tempio israelitico, presto abbandonata, questa sala gigantesca ha assunto quella di raccogliere numerose testimonianze della più moderna tra le arti, quella del cinema e della sua storia. Tali documenti si snodano attorno al percorso di una ampia spirale ascendente, di recente invenzione, a partire dalla sua base, che ospita numerose speciali sedute fatte per fare accomodare gli amanti del cinema, che da esse potranno comodamente seguire lo sviluppo di famose sequenze cinematografiche, che hanno fatto storia, proiettate su due ampi schermi. Dell'Antonelli rimane oggi la sensazione di uno spazio dilatato a dismisura, attraversato dall'ascensore che condice alla cima della guglia, lungo il percorso del quale può essere goduta una visione mozzafiato sia dell'immensa aula interna che, a 360°, della città immediatamente circondata dall'arco alpino, all'esterno. Al disotto della sala, negli spazi del piano terra, restano anche dell'Antonelli da vedere gli stupefacenti dettagli architettonici, in laterizio rimasto a nudo, della straordinaria concezione strutturale e architettonica dell'edificio



Se lo spazio interno offerto dalla Mole di Torino non fosse stato tanto eccezionale, come in effetti è, così stupefacente, come di fatto è, ed abnorme, come anche è, lontano da ogni regola o tipo, tanto diverso da ogni altro esempio consimile, e così ricco di spiccata personalità, esso non avrebbe convinto, i creatori del Nuovo Museo del Cinema ad ospitarvi quelle collezioni, quei reperti, tutti quei documenti così unici e particolari che fanno del cinema un'arte che può ben dirsi proprio torinese. Si sarebbe optato per adottare altri spazi, magari anche più direttamente collegati al mondo cinematografico, che pure abbondano in Torino e nel suo hinterland, proprio perchè in essi si fece cinema all'epoca del muto, ovvero quando nacque questa arte così speciale e così legata al nostro tempo. Ma fu proprio qui, e giustamente, che si scelse di testimoniare il cinema, col suo Museo più speciale che vi sia al mondo, immergendolo in un simbolo che già di suo portava alto un vessillo, ed ora, più che mai, ne rende omaggio al mondo in modo così unico da costituire un vanto, non solo della città, ma anche dell'intero nostro Paese. L'intervento architettonico ed arredativo (dovuto alla mano dell'architetto svizzero Francoise Confino) non manca di incontrare il gusto del pubblico, e di ben legarsi allo spazio antonelliano. Taccuini Internazionali, già in altre sedi ha proposto di integrarne le collezioni con materiale documentale ed informativo attinente al ruolo di Torino negli anni che precedettero la prima guerra mondiale, all'epoca del muto, oltre ad integrarne la visita con quella ad altre siti della memoria storica del cinema torinese (ad esempio presso quella che fu la sede di Photo Drama Producing Company of Italy, di D'Ambrosio e Kleine, alle Serre di Grugliasco).


L'Antonelli ha vissuto ed operato esclusivamente in quest'area geografica, nella quale possiamo oggi visitare tutta la sua non certo ristretta opera, tra chiese, templi, ville, case di abitazione e centri religiosi. L'opera sua più prestigiosa e nota nel mondo trovasi a Torino, la più lontana città dal suo luogo natale ed operativo, che è Maggiora, che dista da Torino poco più di 100 chilometri. L'opera è il tempio, una volta israelitico, divenuto in seguito suo omonimo, essendo stato soprannominato dagli abitanti di qiuella città "Mole Antonelliana", nome che ha conservato fino ad oggi, divenuta sede di uno dei più interessanti ed elogiati musei del mondo: il Museo del Cinema (vedi anche in queste stesse pagine. 



In questa fotografia della guglia della Mole antonelliana a Torino si evidenziano le doppie scale ad elica, all'interno degli ordini circolari, come erano prima del crollo e della successiva ricostruzione, cui mise mano lo stesso autore.


La guglia che si erge visibilissima e prestigiosa sui tetti di Torino è stata per parecchi anni la più alta d'Italia, simbolo, per l'epoca della sua costruzione, non solo di bellezza, per la sua estrema sottigliezza e levità, ma anche di arditezza e di coraggio, qualità che certo non mancavano al suo autore, divenuto subito noto, fin dai tempi in cui era in vita, per il suo ardente desiderio di muovere verso l'alto le sue costruzioni, per mostrare le moderne potenzialità della sua architettura ed il dominio della conoscenza che egli aveva dei materiali da costruzione e delle tecniche innovative da adottare, delle quali era maestro



La sinagoga di Torino, poi soprannominata Mole Antonelliana, durante il periodo di sospensione dei lavori, in una fotografia dell'epoca. In questo momento ancora non erano stati approntati i progetti definitivi nella versione attuale della guglia, e pochi pensavano allora che Antonelli avesse in mente di arrivare a tali altezze. Perfino in Commissione Comunale sorsero notevoli difficoltà prima di arrivare all'approvazione definitiva della soluzione adottata, la quale non mancò infatti di suscitare molte perplessità anni dopo, quando, in occasione di un forte temporale, crollarono più di 40 metri di guglia, poi ricostruiti, lasciando uno strascico di polemiche.




Le due immagini qui sopra sono state scattate assialmente al di sotto della grande volta interna della mole torinese (già tempoio israelitico, prima e dopo intervento di consolidamento alla base della volta, eseguiti tra il 1930 e il 1936 sotto la direzione degli ingegneri Pozzo e Albenga. Venne aggiunto anche in quegli anni l'impianto-ascensore centrale, del quale si vedono qui i cavi liberi I lavori vengono ripresi nel 1950 nell'intercapedine della volta. Poco prima che fossero conclusi, il 23 maggio del 1953, un violento temporale abbattè 47 metri di cuspide, poi sostituita tra il 1958 e il 1961.

Ebbe numerosi incarichi, come dicevamo, in vita sua, ai quali lavorò con lo scrupolo d'un metodo sempre pronto a definirne e a controllarne la qualità, più che la misura, perfezionando di giorno in giorno quella per dilatare questa. La dismisura divenne il suo parametro preferito, e non v'era committente che seppe tenerne a freno il dilagare: ossessivo traguardo mai finito, mai ottenuto al fine di soddisfarlo pienamente, meta da conquistare per dare lustro al suo smisurato ego. 




Questi incarichi, che riguardavano modesti ampliamenti di chiese o di cappelle votive durante i primi anni giovanili (chiesa di Castagnola, Oratorio di Soliva, Scuroli di Sant'Agapito a Maggiora e della beata Panacea di Ghemme, casa Antonelli di Maggiora, asilo di Bellinzago), divennero poi più importanti nel tempo sino a coinvolgere la stessa forma urbanistica delle città di cui erano oggetto (Duomo di Novara, Orfanotrofio di Alessandria, cupola di San Gaudenzio a Novara, Santuario del Crocefisso a Boca, Mole antonelliana già tempio israelitico a Torino, Casa Ponzio Vaglia a Torino e Casa Bossi a Novara).




Interno della chiesa di Castagnola, opera giovanile di Antonelli. L'intervento, estremamente coraggioso, propone la demolizione delle due murature portanti laterali della chiesa, di origine romanica, e la loro sostituzione con doppia trabeazione, lunga quanto l'intera lunghezza dell'aula, sostentate da quadruplo doppio colonnato in stile ionico. le colonne, in muratura, sono stuccate e successivamente decorate in finto marmo; soluzione che il Maestro adottò frequentemente fino al termine della sua lunga carriera professionale. Con tale intervento l'Antonelli triplica la capienza della chiesa, aggiungendovi due navi. Questa fotografia, con ripresa assiale trasversale, inquadra in primo piano due delle quattrop colonne che sostentano la trabeazione sinistra dell'aula, mentre, sullo sfondo, si vede quella destra. Questa disinvoltura operativa caratterizza la mentalità visionaria e coraggiosa dell'autore, in fase progettuale, ma anche pratica e realista in fase di realizzazione: binomio che qualifica l'intera sua opera come quella d'un genio dell'architettura di tutti i tempi.



Già nel primo gruppo di opere relativamente piccole peò si avverte il disagio di chi vede in grande nel restare entro le modeste dimensioni iniziali, che determina spesso non solo sempre nuove addizioni e proposte d'ampliamento, ma anche e soprattutto, una capacità di dilatazione tutta potenziale e percettiva degli spazi così da farli apparire sempre maggiori di quanto fossero in realtà. Si nota questo modo d'operare da Alessandro già nella dilatazione laterale della chiesa di castagnola, che da una sola navata è diventata una ampia aula a tre navi dopo l'intervento di Antonelli, che, alle murature, riuscì a sostituirvi potenti trabeazioni sorrette da colonne. 



Scurolo di Sant'Alessandro in Fontaneto d'Agogna. Anche quest'opera fa parte del gruppo di opere giovanili di Alessandro Antonelli. In essa già può essere apprezzata la capacità del suo autore di permettere una percezione grandiosa di una architettura concepita in spazi molto angusti. Analogo effetto può essere apprezzato entro lo Scurolo di sant'Agapito nella Parrocchiale di Maggiora, paese natale dell'autore.


Si nota inoltre come con gli Scuroli di Sant'Agapito a Maggiora e della beata Panacea a Ghemme egli seppe magistralmente far apparire enormi spazi di per sè angusti, oppure dalle dimensioni che solo piccoli budgets potevano consentire. Era certamente Antonelli un grande architetto anche per questo, e non soltanto per la sua unica e straordinaria carica utopica che seppe sempre far emergere dalla sua architettura, piccola o grande che sia, raccolta oppure grandiosa che fosse sin dall'originaria concezione del suo rapporto con la scala urbana.



Il santuario di Boca, qui sopra in due foto (fronte e fianco), è una colossale costruzione prealpina rimasta incompiuta, come buona parte dei grandi progetti antonelliani, proprio per la loro estensione oltre ogni limite di grandezza e di sviluppo legato alla semplice funzione iniziale. Anche in questo caso, come in molti altri, il progetto andava sviluppandosi di pari passo alla realizzazione, ed il committente doveva prendere atto in corso d'opera che nella mente dell'Architetto vi era ben altro di quanto era stato mostrato all'inizio, al puro scopo di avviare i lavori. Era questa di Antonelli, una forma di esaltazione personale che veniva a galla nella sua mente creativa, e nella sua tensione operativa, mentre i muri si innalzavano, che portava a continui cambiamenti ed a prese di posizione non sempre apprezzati da chi l'opera la finanziava: un furore che faceva parte integrante del suo genio, che lo accompagnò fino alla morte, che avvenne in età molto avanzata.




Le fotografie qui sopra mostrano due palazzi in tipologia abitativa, assai frequentata dall'Antonelli, quali la più nota Casa Bossi di Novara, resa famosa dal romanzo di Sebastiano Vassalli "Cuore di Pietra", che, con questo titolo proprio si riferiva ad essa, nella lunga vicenda narrata di chi la volle come simbolo della propria avventura familiare e di chi la volle costruire come simbolo della propria autonima e personale visione dell'architettura. In alto: Casa Antonelli a Maggiora (Novara). Sotto: Casa Ponzio Vaglia, Aghemo Ferroggio, o "Casa delle colonne", a Torino, 1853 (due proprietà distinte per una unica grande costruzione. La parte sinistra fu oggetto di pesanti rimaneggiamenti, mentre quella destra è ora stata oggetto di un recente restauro). A Maggiora e a Torino due case che mostrano una concezione architettonica simile. Molto bella, in casa Antonelli, l'ariosa loggia del piano più alto.


Scrive Roberto Gabetti di Antonelli, aprendo l'ampio volume a lui dedicato da Electa nel 1989: "Alessandro Antonelli sembra teso a costruirsi la biografia del genio: ma come riconoscere la sua separatezza fino all'estraneità, e all'opposto la sua continuità fino alla banalità, fra le mille case non sue presenti a Torino e a Novara, fra le mille cascine e violle e cappelle costruite nelle pianure del Piemonte orientale, inerpicate su fin quasi alle montagne, senza riconoscere, assieme all'eccezione, la norma? San gaudenzio, e anche la Mole, ci paiono costituire due casi a sè; non lo sono però fino in fondo, per quel loro presentarsi a noi come complementi conclusivi, nel corso della costruzione di un paesaggio urbano e campestre, che quel compimento attendeva. Del resto, lasciando a noi, dopo la morte, grandi cartelle di disegni e pochi scritti, non volle annullarsi in pochi attimi di delirio o di estasi, ma sentirsi continuato, continuare ancora per farci godere, pur fra grandi difficoltà, il suo lavoro enorme, continuo, splendido."

Enrico Mercatali
Lesa, Settembre 2013

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