THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

11 April 2014

OLIVETTI - CARLO SCARPA - VENEZIA, 1957 (articolo e foto di Enrico Mercatali)







O   L   I   V   E   T   T   I
CARLO    SCARPA
V  E  N  E  Z  I  A 

Show-room Olivetti a Venezia
ora Museo del FAI

(il Gioiello e l'Acqua Alta)



Sopra e sotto al titolo il marchio Olivetti: quello esterno, a destra dell'ingresso, sapiente giustapposizione di materiali ferrosi e lapidei tra loro incastrati su sfondo dorato, e retroilluminati; quello interno, impresso nel cemento armato granigliato, è parte della fontanella a fronte dell'ingresso, che regala sonorità naturali appena dietro all'espositore principale del prodotto in ciclica esposizione: oggi, la Audit 513, macchina contabile superautomatica elettrica del 1959, progettata da Natale Capellaro e disegnata da Marcello Nizzol. 
Sopra al marchio, sopra al titolo: Il "Gioiello e l'Acqua Alta", ovvero Show-room Olivetti e acqua alta in contemporanea, rendono difficoltoso ed a volte impossibile l'accesso. L'oggetto del nostro interesse si trova nel punto più basso della Piazza San Marco, dalla parte delle Procuratie Vecchie, ciò che la rende ancor più agognata e, per certi versi, perfino avventurosa  meta.




Lo show-room Olivetti di Venezia, fin dalle originarie intenzioni del Committente, doveva essere, non un negozio preposto alla vendita dei prodotti della grande azienda eporediese, benzì un biglietto da visita aperto al mondo. Ecco perchè Adriano scelse, tra le altrte sedi nelle grandi capitali mondiali, la piazza San Marco a Venezia, quale luogo notoriamente esso stesso "vetrina italiana nel mondo", fortemente transitato da turisti stranieri e personalità d'ogni tipo. Ecco perchè, per la sua realizzazione, scelse il progettista veneziano più noto ed in vista di quel periodo, Carlo Scarpa.
Qui sopra, prima d'ogni altra considerazione, appare, nella sua piena e personalissima evidenza, l'oggetto-scala, quale significativo gioiello intrinsecamente paragonabile per bellezza, funzionalità e preziosità al prodotto Olivetti, ivi esposto. La scala è in effetti una potente griffe apposta proprio accanto al marchio di fabbrica. Essa, come ha ammesso lo stesso suo progettista, "è costata un mucchio di soldi, ma questo non doveva essere certo un problema per uno come Adriano Olivetti, in quel contesto".


Lo show-room Olivetti, commissionato da Adriano Olivetti a Carlo Scarpa nel 1957 e chiuso nel 1997 in un momento di particolare difficoltà commerciale della società di Ivrea, è stato restaurato di recente dal proprietario dell'immobile, Assicurazioni Generali, ed affidato alla gestione del FAI nel 2011 per poterne garantire l'apertura al pubblico in forma di piccolo museo di sè stesso.
L'opera ancora oggi appare interessantissima, soprattutto ai fini della conoscenza approfondita del suo autore, e dell'architettura italiana e mondiale degli anni '50. Il direttore della rivista Casabella, Francesco Dal Co, l'ha definito "pagina tra le più luminose dell'architettura del Novecento".



 Lo "show-room" (non il "negozio", come voleva Adriano Olivetti), nonostante la sua piccola dimensione, sia in larghezza che altezza, è dotato di ampie vetrine che prospettano sulla piazza san Marco dalla parte delle Procuratie Vecchie. Per l'esposizione in esse degli ultimi prodotti Olivetti (dal FAI, attuale gestore del piccolo museo, sono stati collocati i modelli in grande auge degli anni '50 e dei primi anni '60) Scarpa ha disegnato appositi ripiani in legno palissandro (visibili nella foto, e successivamente anche in dettaglio), sospesi mediante una sottilissima asta in acciaio, e resi stabili da leggeri distanziatori dalla base della vetrina stessa. Ne risulta un sistema espositivo, per l'epoca originalissimo, estremamente leggero e quasi invisibile, cosa che interessava assai all'autore per dare il risalto meritato al prodotto.




"Nudo al sole" (1956) è il nome della piccola moderna scultura in bronzo dorato di Alberto Viani che campeggia presso l'ingresso, lievemente poggiata sul filo dell'acqua, alimentata da una micro-fontana all'uopo predisposta, contenuta in una vasca in marmo nero del Belgio. Bellezza e levità, trasparenza e riflettenza, sono gli elementi richiamati da Scarpa in questo contesto, al fine di sintetizzare le qualità esposte. Scarpa aveva già allestito per Viani alcune sale in Biennale. E' noto inoltre quanto egli fosse attaccato all'acqua, che non faceva mai mancare, quale elemento vivo della natura tipico della sua città, in ogni suo progetto.




Il mosaico pavimentale "alla veneziana", qui sopra evidenziato nelle tre fotografie che ne mettono in risalto l'accurato dettaglio esecutivo, collocato proprio tra l'ingresso e la scala, è stato studiato da Scarpa in modo da porre in essere una tecnica storica, tipica el contesto veneziano, espressa secondo una moderna interpretazione, particolarmente vicina, in questo progetto, al paradigma compositivo adottato nello spazio, basato su un complesso sistema di intersezioni di linee ortogonali che, dal più minuscolo dettaglio, conduce sino alla stereometria di assieme mediante intrecci e sovrapposizioni il cui linguaggio sembra quasi un fatto occulto e imperscrutabile.



Venezia aggiunge ogni anno che passa musei a musei. Essa stessa è museo nel senso compiuto del termine, cosa che del resto è di ogni agglomerato urbano che ha lontane origini storiche. Ma Venezia lo è di più, in quanto essa, più d'ogni altra,  ha accolto nel suo ambito, in ogni epoca,  differenti creatori d'arte provenienti da ogni parte del mondo conosciuto, stratificandone gli apporti. In essa il visitatore oggi può scindere una componente dall'altra, differenziandone le griglie, studiandone le parti, approfondendone le componenti. E' perciò distinguibile, ad esempio, oggi, un itinerario contemporaneo da un'altro appartenuto ad altri secoli. Oppure, secondo un altro esempio, è possibile seguire un percorso tutto scarpiano, come infatti è stato possibile in questi giorni per chi si trovava nella Serenissima per una visita d'arte, essendovi esposta tutta la sua produzione per Venini tra gli 1932 e 1947, all'Isola di San Giorgio, magari passando per la Querini Stampalia, ove, tra l'altro, con la nuova addizione della Fondazione, può essere sperimentata l'interpretazione di Mario Botta per la precedente ristrutturazione scarpiana.



Qui sopra altri complessi elementi di composizione del dettaglio, capaci, da soli, di impreziosire la percezione dello spazio secondo punti focali di attrazione visiva. L'accostamento dei materiali adottati decodifica la complessità rendendo piacevolmente fruibili i diversi elementi formali: marmo di Aurisina, legno palissandro e teak africano, stucco veneziano, vetri satinati, cristalli molati, acciai trattati. Ogni elemento vive nel rapporto con gli altri in un assieme armonico che ne esalta la fruizione come fossimo immersi in un'opera d'arte totale, cui contribuiscono le forme, i colori, e perfino gli odori ed i suoni.


Vogliamo qui proporre, tra l'altro, una lettura del paradigma progettuale di Carlo Scarpa, così come pure perfettamente verificabile nello stesso show-room di  Olivetti, che è esso stesso un intreccio di differenti lingue, nei loro calibrati passaggi tonali nel colore, di variamente elaborati applicazioni matriche, talune puramente naturali altre frutto di innovative tecniche di trasformazione, di concetti compositivi assonanti e dissonanti, dai significativi riferimenti alla stratigrafia dell'evoluzione storica.



Qui sopra abbiamo voluto evidenziare come l'elemento della scala, dalle varie angolazioni che essa mostra all'occhio del visitatore, appaia sempre come una scultura, più che un elemento architettonico. In effetti, pur trattando questo spazio, Scarpa, come un fatto di pura architettura, egli tende a farne, sia in quanto contenitore che in quanto contenuto, un fatto di pura scultura. procedimento questo che è tipico della sua arte, e che lo ha contraddistinto agli occhi dei suoi contemporanei architetti. Non  a caso la sua formazione è tutt'altro che accademica. Anzi, all'opposto, egli si è formato come art-director in numerose aziende di design e di moderno artigianato veneziano, prima di praticare architettura e mostrarsi particolarmente capace nel restauro moderno di edifici antichi.


Questa forse la sua più significativa lezione, che stenta oggi ad essere riconosciuta per la stragrande quantità di casi emulativi successivi, che, dalle contemporanee imitazioni, ci portano all'evoluzione odierna dei medesimi principi compositivi, ancorchè assai diversi in quanto lingue, ma basati sulla medesima grammatica, che fu allora di portata rivoluzionaria. Show-room Olivetti ne è oggi più che mai testimone.




Qui sopra, una immagine del piano superiore dello show-room,  ripreso in tutta la sua lunghezsa. Anche qui i toni chiari dello stucco veneziano, il legno palissandro, la distribuzione degli elementi luminosi artificiali, creano una trama delicata di linee disposte ortogonalmente tra loro secondo sequenze armoniche atte a dare il massimo risalto a pochissimi punti di esposizione dei prodotti. Ciò che questa foto non rivela, ma che ben avverte chi ne percorre gli spazi, è l'intersezione tra gli spazi orizzontali e verticali, che vedono questi ultimi attraversare entrambi i piani dello spazio, così rendendoli assai articolati e piacevoli da vivere.


Qui sopra due foto che evidenziano la leggerezza attribuita da Scarpa agli espositori in legno, sia che si trovino all'interno, sia che si mostrino in vetrina. Le macchine Olivetti selezionate dal FAI per l'esposizione in questo piccolo museo-gioiello sono: La "Lexikon 80" del '48, di Giuseppe Beccio e marcello Nizzoli, la "Lettera 22" del '50, degli stessi autori, la "Studio 44" del '52, di Marcello Nizzoli, la "Lexikon 80 elettrica" del '55, di Beccio e Nizzoli, la "Summa 15" del 49, di natale Capellaro e Marcello Nizzoli, la "Divisumma 24" del 56, di Capellaro e Nizzoli, la "Multisumma 22" del 58, degli stessi autori della precedente, la "Elettrosumma 22" del 58, degli stessi autori, e la "Audit 513" del 59, degli stessi autori (tutti prodotti esposti anche al MOMA di New York).


Enrico Mercatali
Venezia, 7 novembre 2012
(fotografie di Enrico Mercatali)
aggiornato L'11 Aprile 2014

Cuore di Champagne - Vita idilliaca tra le colline dei vigneti di Francia. Un esempio da imitare in Italia




Cuore di Champagne 
Vita idilliaca tra le colline dei vigneti di Francia. 
Un esempio da imitare



Un turista francese, sbarcato in terra di laghi piemontesi 
ci ha introdotto al suo mondo

L'ospite di Casabella-Lago Maggiore parla del luogo dove vive e lavora, "Les Riceys", in Champagne, documentandolo con fotografie d'autore



L'incanto dei luoghi è tale, da indurci a un confronto 
(purtroppo perdente) con il nostro paese



Sopra e sotto: Il paesaggio di "Les Riceys", in Champagne


Noi, che pure viviamo in una zona eccezionale d'Italia, per bellezze del paesaggio e per ricchezze storico-artistiche del suo territorio, quali il Piemonte della sponda occidentale del Lago Maggiore, siamo rimasti incantati soltanto mettendoci a sfogliare il libro dal quale sono state tratte queste foto. Il libro ci è stato regalato da una bella coppia di francesi di mezza età,  ancora giovani sia nell'aspetto che nello spirito, che sono stati ospiti questa estate nel Bed and Breakfast "Casabella", nella piana di Lesa presso il lago, per trascorrervi una vacanza di una settimana. La gentilezza dei due ospiti si è rivelata al primo loro apparire sulla porta di casa: essi infatti portavano con sè, per farne dono a chi li stava accogliendo, e prima ancora di "testare" la nostra ospitalità, una bella confezione di bottiglie di ottimo Champagne.  Non male, vero?






Si è scoperto subito dopo che il produttore di quello Champagne era proprio colui che ce l'aveva appena regalato. L'incontro fu molto piacevole con entrambi i due francesi della regione dello  Champagne anche perchè la durata della loro permanenza sul nostro lago era tale da consentirci un approccio più che puramente occasionale, date anche le doti di simpatia e vitale ottimismo che i due coniugi sapevano diffondere attorno a loro. Il loro regalo fu accolto come un ottima premessa da chi stava offrendo loro un alloggio per una settimana, e un ottimo segno di scambio putroippo poco corroborato vicendevolmente dalla scarsa conoscenza delle rispettive lingue parlate. Il segno fu poi ricambiato con  continue vicendevoli gentilezze capaci di aprire a un dialogo che sarebbe certo durato oltre la settimana corrispondente alla prenotazione.




Sopra e sotto: "Les Riceys",  in Champagne


Ed una buona base d'amicizia fu subito così impostata.
L'assaggio del vino avuto in dono era assolutamente d'obbligo entro un contesto di comune interesse alla conversazione, soprattutto tesa ad agevolare una maggiore conoscenza reciproca, che non fosse quella puramente formale che doveva convenirsi nelle reciproche condizioni d'ospiti ospitanti ed ospitati. Arrivò il momento in cui l'assaggio fu programmato, e fu così che esso, tra spuntini vari d'accompagnamento alla bevanda che erano stati preparati, aprì finalmente le porte della Champagne a noi italiani piemontesi, e quelle del Lago Maggiore a loro francesi, con tanto di sfoggio d'interessi comuni e di argomenti vari che fecero si che di lì a poco ci fummo simpatici a vicenda, diventando buoni amici.





Le prime descrizioni furono quelle legate al vino ed agli aspetti salienti della sua produzione, di cui l'ospite era esperto conoscitore, lavorando egli proprio in quel settore. D'altro canto poco altro, credo, potrebbe fare chiunque si trovasse a vivere in un paese, quale quello che ci fu descritto (e che qui documentiamo in fotografia), ove tutto sembra fatto apposta e solamente per dare gusto al vino e bellezza agli occhi e allo spirito di chi vi abita o soggiorna.
I racconti di quella zona di Champagne, coadiuvati da fotografie, facevano intuire proprio quanto amassero quei luoghi i suaoi abitanti vinicoltori, quanto vissuta e profondamente sentita fosse la sua storia, quanta passione vi era in loro nel descriverne le caratteristiche, le qualità, le vicende antiche e contemporanee nelle quali essi vi si identificavano totalmente.




Il centro di "Les Riceys", in Champagne


Fu promesso l'invio di un libro, per documentarne le bellezze e per permettere di constatare quanto fossero corrispondenti al vero le descrizioni fatte, circa le bellezze di quei siti e la bontà dei suoi prodotti, che la terra, e il lavoro dei suoi abitanti, non mancavano mai di presentare, puntualmente, ad ogni alternanza di stagione.
Come queste foto possono anche da sole dimostrare, nella dolcezza collinare di questo territorio, emergono i caratteri salienti d'un paesaggio perfettamente costruito dall'uomo nel corso dei secoli. Tutto sembra a perfetta misura umana così che forse meglio non si sarebbe potuto fare, neppure a posteriori, per migliorarlo. I centri abitati sembra si siano fermati al medioevo tanto la loro dimensione appare perfetta per attraversarli a piedi da un punto all'altro. Il loro assetto complessivo sembra corrispondere alle più canoniche descrizioni dell'urbanesimo medievale con tanto di Cattedrale gotica al centro e bassi tetti tutt'attorno dilatati a macchia d'olio sino alle intersezioni delle vie maestre con la campagna circostante. I quadri ambientali appaiono idilliaci, pronti ad essere dipinti da maestri d'arte del paesaggio, dalla cui morfologia emergono alternate le macchie boschive più scure e quelle testurizzate dai filari della vigna, in chiaro. Nette ma sinuose le tracce delle strade principali, che seguono fiumi e avvallamenti, mentre le interpoderali frastagliano leggermente le diverse campiture interstriziali dando all'insieme quell'aspetto tanto fortemente antropizzato, ma totalmente rispettoso della natura.






Appaiono poi, qua e là, emergenze tutte particolari che mai stonano però nei quadri complessivi, tanto esse debbono essere state frutto di valutazioni attente e mai casuali da parte della comunità. Crediamo che un territorio siffatto, come appare in queste prime foto, non sia mai frutto d'uno spontaneo divenire, bensì d'attenta progettazione in salvaguardia della sua immagine storica. Ma crediamo anche che tale progettazione non sia frutto di pochi illuminati tecnici del ramo, bensì d'una legislazione che ha radici lontane, attentamente ma flessibilmente applicata da chi ne approva e ne tramanda il dettato, secondo una sensibilità tutta propria alla comunità intera che la preserva e l'arricchisce, dopo averla fatta sua, per attribuirle nuovi compiti mano a mano che lo sviluppo avanza, le tecniche progrediscono e l'ambiente evolve.





La cosa che maggiormente ci ha colpito, di questi luoghi, così come l'esperienza dei numerosi altri da noi visti in altre zone di Francia, è la coerenza del lascito collettivo, come fosse fattore d'una forma che si nutre d'un volere collettivo, che nessuno possa scalfire per imprimervi un segno alternativo. Qui nessuna modernità potrebbe darsi, per il semplice fatto che tale risultato è esso stesso un risultato di assoluta modernità. Qui la modernità non è palesata in forme esteriori, ma sottesa e lievitante nelle regole, nelle tecniche, nella coerente gestione, ben dosata ed applicata. La modernità la si respira nella perfezione dei risultati, quando questi li si confronti con situazioni altrimenti sperimentate e non altrettanto riuscite di questo periodo in cui troppo spesso non vi sono state analoghe capacità di controllo, di regolazione, di buona amministrazione.




Girovagando per la campagna francese troppo spesso ci domandiamoi, noi italiani, come sia stato possibile in quel paese raggiungere quasi ovunque così eccelsi risultati, nella conduzione della gestione territoriale al di fuori delle grandi città, quando invece nel nostro paese accede che sia queste solamente eccezioni, rare e sporadiche eccezioni ad una regola che invece è inversa, tutt'affatto segnata da incuria, approssimazione, errori, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.




Una risposta a questa domanda, per essere sufficientemente esaustiva, richiederebbe una soverchia dose di tecnicalità ed una analisi storica che ci porterebbe assai lontano. Ci basta qui documentare quello che potremmo definire un momento di "poesia urbanistica",  che si sa tradurre in poesia  paesaggistica trattandosi di un paesaggio tutt'altro che naturale in senso stretto. In queste foto, che documentano l'aspetto di una delle tantissime cittadine del paesaggio rurale francese, qui di "Les Riceys" in Champagne, emerge una realtà in cui ogni aspetto è naturalmente inserito in un contesto riccamente vegetale, ma questo è frutto di una complessa elaborazione antropica che ne ha saputo esaltare la bellezza, coniugando questa al lavoro della terra, alla ricerca del miglior risultato dei suoi prodotti, alla migliore convenienza nel rapporto tra i campi del lavoro, le reti dei trasporti, e i nuclei abitativi, di storica derivazione entro moderni criteri di conservazione.




Anche in Italia abbiamo quadri ambientali altrettanto meravigliosi, ma purtroppo essi non costituiscono la regola, bensì l'eccezione. E non a caso questi luoghi sono meta di pellegrinaggi fin troppo pesanti di mal sopportati estimatori. A differenza di quelli francesi, di cui qui abbiamo saggiato un esempio, i nostri sono spesso e volentieri luoghi affollati con le conseguenze che dietro di sè portano gli eccessi.



Sopra e sotto: dettagli architettonici di nel centro di "Les Riceys", in Champagne


Abbiamo voluto riportare l'esempio di questa cittadina di una delle regioni più famose ed acclamate di Francia per il suo vino, per dare un contributo di stimolo, non solo agli amministratori di questo nostro Paese, ma anche e soprasttutto ai suoi cittadini, i quali non sempre si rendono conto di essere in uno dei più bei paesi del mondo, e non sempre sanno che, se le cose da noi non vanno come dovrebbero, spesso dipende proprio da loro, da ciascuno di loro, i cui comportamenti potrebbero essere diversi e spesso migliori, in tutto ciò che ha a che vedere con la buona conduzione della amministrazione di un territorio, con tutto quanto li circonda, i cui effetti potrebbero contribuire grandemente a migliorare.







Cantine a filari di vite a "Les Riceys", in Champagne

Enrico Mercatali
Lesa, 24 settembre 2011
Foto tratte dal libro "Les Riceys - en Champagne, terre d'exception", di Michel Jolyot, prefazione di Jean-Paul Kauffmann
Aggiornato e completato in aprile 2014

10 April 2014

Lo sbarco di Velasco Vitali a Pallanza e alla Madre delle Borromee - di Enrico Mercatali (foto di Enrico Mercatali)







lo "Sbarco" di Velasco Vitali 
(fotografie di Enrico Mercatali)


Sul Lungolago di Verbania Pallanza una inconsueta
 scultura-istallazione completa ed illumina il paesaggio



Da giugno ad ottobre del 2012 sono state eseguite all'Isola Madre (Lago Maggiore), dallo stesso autore, le multiformi istallazioni dal titolo "Foresta Rossa". L'artista, chiamato a vitalizzare il turismo lacustre dai principi Borromeo e da Cristina Zuccari, ha dato ampia prova delle sue qualità creative. Da allora ad oggi esse campeggiano indisturbate nei luoghi d'origine. Segno che si vuol rendere definitiva la loro allocazione. Crediamo sia una buona idea.







Riportando il testo di quanto scrivemmo, dopo esserci imbattuti nella sua grande scultura posta a bordo lago, a Pallanza (Verbania), nel maggio 2012, riproponiamo l'articolo quale veicolo di fertilità turistica e di vivacità culturale che le stagioni estive portano nelle vaste aree dei grandi laghi di nord-ovest, mostrando anche alcune fotografie delle istallazioni di Velasco Vitali all'Isola Madre, lasciate vivere anche a fine-manifestazione, nel corso dell'anno successivo.
Siamo convinti che la scelta dell'artista sia stata ottima. Infatti essa è stata premiata da un grande flusso di visitatori, ed anche apprezzata quale valida integrazione tra linguaggio contemporaneo e ambiuente storico, integrazione che si apprezza ancor più nei mesi di scarsa affluenza per la maggiore visibilità dei gruppi scultorei presenti (difatti la nostra visita è stata fatta pochi giorni prima della chiusura invernale 2013-2014.





Le istallazioni all'Isola Madre delle Borromee (Lago Maggiore), realizzate nel 2012 da Velasco Vitali, ma tuttora in sito (foto di Enrico Mercatali)



"Siamo casualmente ieri incappati in una inusuale scultorea istallazione collocata proprio al centro del Lungolago di Pallanza (Verbania), di fronte alla piazza del Municipio. Fa da sfondo a questo manufatto, lungo una decina di metri, il monumento a Cadorna, l'Isolino (che ospitò a suo tempo Arturo Toscanini) e, dalla parte opposta, l'Isola Madre, delle Borromee la maggiore, la più vicina a Verbania.
Abbiamo deciso di ospitare nel nostro magazine alcune immagini di questo davvero spettacolare oggetto, tutto metallico, rappresentante una lunga imbarcazione di imprecisata età, sostenuta da due figure maschili, che la trasportano. L'imbarcazione, una sorta di piroga, è realizzata in acciaio inox lucido, totalmente liscia all'esterno, quindi fortemente riflettente, quasi fosse uno specchio, la luce solare ed ogni oggetto o persona che vi fosse attorno, strutturata all'interno da barre in ferro opportunamente distribuite. Le due figure umane sono probabilmente in bronzo, oppure anch'esse in ferro."




Una parte delle istallazioni realizzate nel 2012 da Velasco Vitali all'Isola Madre.


"Decisamente innovativa e visivamente impattante la grande scultura, pur integrandosi, per soggetto e dimensioni all'ambiente circostante. Ben intenzionati, noi, ad interessarci subito a lei, che certamente richiedeva attenzione, ed anche interesse.
Il pubblico pareva anch'esso attratto dal metafisico oggetto, quasi un UFO appena sbarcato da chissà quale luogo lontano, e si lasciava prendere all'interno dalla inevitabile curiosità che esso suscitava, o vi percorreva il perimetro, quasi incantato da tanto inusitata presenza, in questi luoghi, e lungo queste sponde.
Abbiamo deciso di parlarne perchè anche a noi tale presenza, pertaltro anonima (non un cartello che segnalasse il nome dell'autore o il titolo, e tanto meno il senso dell'iniziativa), è parsa strana, inconsueta, ma felice, totalmente densa di significato, ricca di ottimi presupposti, presenti e futuri. Al temine dell'articolo vi riveliamo tutti tali dati, che stranamente non comparivano presso l'opera."





L'imbarcazione di Velasco Vitali in una foto di repertorio


"Ringraziamo l'amministrazione comunale e la famiglia Borromeo che sicuramente ne hanno consentito l'istallazione, per l'audacia (in un certo senso, dati i presupposti ai quali siamo abituati in tali contrade), e per l'aver dato avvio (in quanto precedente) ad una azione che potrebbe essere ripetuta, e riverberata lungo tutti i nostri troppo provinciali lungolaghi, facendo diventare, quella di collocare istallazioni di qualità, quale certamente questa è, nei più frequentati siti pubblici del nostro lago, un plus capace d'attrarre più interesse per l'arte, più turismo di qualità, più rimando internazionale alle nostre pur già bellissime e in teressantissima connotazioni di paesaggio e di cultura."



Le tre foto qui sopra, quella sopra al titolo, e quella in fondo all'articolo sono di 
Enrico Mercatali



"Ringraziando perciò ancora chi ha fatto ciò, auspichiamo che si faccia di più lungo le rive del Maggiore, magari in parte imitando quanto, non sempre felicemente ma pur sempre assai efficacemente, è stato fatto sull'Orta.
Proponiamo, qualora vi fossero iniziative comuni tra le amministrazioni comunali delle nostre provincie, e sponsors interessati a dare forte incentivazione a tali esperimenti, d'istituire apposite commissioni di esperti, che possano dare il migliore indirizzo, onde evitare l'inutile, controproducente e dispersivo moltiplicarsi di azioni isolate, come è accaduto a Stresa, in cui l'istallazione di sculture (peraltro non temporanee) ha riempito il bel lungolago di opere prive o quasi di qualsivoglia qualità.

La scultura in questione, intitolata “Sbarco” e riferita alle migrazioni dei popoli, è opera dello scultore Velasco Milani;  rappresenta la prima opera dell’allestimento artistico “Foresta Rossa” che sarà inaugurato il 2 giugno e comprenderà fino ad ottobre altre installazioni presso il Grand Hotel Majestic (promotore dell’evento) e all’Isola Madre.

La scultura era già stata istallata a Milano alla fine del 2010."




L'artista Velasco Vitali in una foto di repertorio



"Così se ne è parlato sulle cronache d'allora e così ne ha parlato l'Assessore Massimiliano Finazzer Flory:
"S’intitola Sbarco l’intervento artistico promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune che Velasco Vitali realizza a Milano dal 13 novembre al 3 dicembre. La migrazione dell’uomo è il filo conduttore di un’installazione che collega idealmente la piazza della Stazione Centrale di Milano e gli spazi di Palazzo Reale. “Con Sbarco – spiega l’assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory – Velasco Vitali, nei suoi quattro distinti capitoli narrativi, dà forma e concretezza alle figure migranti. Ciò che colpisce dei suoi lavori è l’irriducibile tensione fra individuo e comunità. L’artista, senza negare l’una o l’altra, ignora tuttavia gli ovvi richiami ideologici all’egoismo, al collettivismo. Ed è in tale prospettiva, in un ideale percorso, che il nostro sguardo muove dalla Stazione Centrale alle sale di Palazzo Reale in un evocativo viaggio che racconta lo scorrere del tempo, i mutamenti, l’evoluzione dei nostri giorni, quella esteriore e quella interiore”."




 La foto della scultura (di repertorio) è di Oliviero Toscani




"Così allora altri avevano detto:
"Dal passaggio di persone riflesse sulla chiglia di una barca al branco di sculture nella penombra dei corridoi di Palazzo Reale, alla folla nei grandi quadri nelle sale, Velasco Vitali investe con la sua riflessione le tematiche dell’isolamento, del viaggio, dell’immigrazione, della precarietà e della fuga. E lo fa attraverso quattro grandi momenti tematici, declinati anche spazialmente in quattro opere o gruppi di opere.

I . Sbarco (piazza Duca d’Aosta, Stazione Centrale)
Una barca lunga e sottile taglia la piazza. La sorreggono due uomini di bronzo immobili e vaganti che segnano l’inizio, la fine e la durata di un viaggio immobile e ciclico, due figure senza identità, che diventano metafora di spaesamento. Al visitatore il compito di pensare alla meta del viaggio, all’identità dei viaggiatori, alla funzione della barca (2 metri per circa 15 di lunghezza): uno scudo, un guscio, un rifugio che collega e separa i due uomini. "

Enrico Mercatali
Pallanza (VB), 11 maggio 2012
- aggiornato 10 aprile 2014
(foto di Enrico Mercatali, ove non diversamente segnalato)